Nella Londra gentrificata, dove i poveri sono stati spazzati via da zone della città divenute, negli ultimi dieci anni, proprietà di ricchi provenienti da tutto il mondo, un’artista, Stephanie Ray, sta cercando di cambiare il modo di guardare alle periferie degradate.
Scultrice affermata, una laurea in gioielleria, la Ray è nota anche per essere membro dello Iied, l’Istituto internazionale per l’ambiente e lo sviluppo, che si occupa di “costruire ponti: tra locale e globale, tra ricchi e poveri, tra Governo e settore privato, tra ricerca e azioni concrete”.
L’idea di rottura che quest’artista porta avanti è legata alla percezione che si ha delle favelas, normalmente viste come luoghi di sporcizia, tristezza e solitudine. Negli informal settlements, in Africa, Asia e America Latina, invece la Ray, che vi ha viaggiato per motivi legati alla sua attività umanitaria, ha visto anche luce, sole, gioco, allegria e soprattutto, solidarietà e supporto da parte della famiglia allargata, della comunità locale. Questa luce Stephanie l’ha poi riprodotta nella sua wall art, sculture in legno, carta di giornale, foglia d’oro e metallo. Una luce e un’allegria che contrastano con la solitudine che si riscontra a Londra dove i poveri non sono scomparsi, semplicemente sono finiti in periferie rapidamente ingrigite e degradate.
Solo per fare qualche esempio, a Ovest della città si è diffuso il fenomeno degli sheds with beds, capannoni per dormire, circa 10mila secondo una recente inchiesta della Bbc. Moderni ghetti diurni offerti, a caro prezzo, da proprietari britannici a immigrati illegali. Sono gli slums del 21simo secolo, garage riconvertiti dove vivono per lo più indiani.
Nell’area chiamata Lambeth a Sud della città, invece, secondo i dati della Leap, la Lambeth Early Action Partnership, una Ong che supporta le famiglie indigenti della zona, un terzo delle abitazioni sono sovrappopolate. Oltre 1300 famiglie vivono in alloggi temporanei, il 50% vive in case popolari. Il 90% dei bambini in stato di povertà a Lamberth vive con un solo genitore, il 37 % ha malattie croniche e il 32% problemi di socializzazione e comunicazione.
Dunque ciò che si pensa lontano è in realtà un problema vicino e ciò che vogliamo vedere non sempre corrisponde alla realtà. È questo ciò che la Ray vuole denunciare con le sue opere. “Se sulla parete di un ufficio o di una casa – spiega Stephanie – c’è una delle mie sculture, forse qualcuno si troverà a riflettere su quella parte di popolazione che nel mondo vive nelle slums”.
Da poco rientrata dall’ultimo viaggio in Kenya, dove con i proventi delle vendite dei suoi pezzi d’arte sta dando vita a un progetto per la costruzione di una scuola, la Ray racconta: “la differenza che più mi ha colpito fra Londra e Nairobi, è come in quei luoghi ci si affidi alla famiglia allargata, che fa da supporto dove mancano le infrastrutture. Qui a Londra invece nelle periferie c’è solo tanta solitudine”.
Francesca Spinola