Se chiedete a un italiano che cosa è avvenuto nel 1937 a Debra Libanos, quasi certamente non vi risponderà. Molti non saprebbero neppure dire dove si trova Debra Libanos. Il loro silenzio è il segno di come nel nostro Paese si conosca poco la storia, soprattutto quella coloniale, e di come una parte di essa (quella meno presentabile) sia stata rimossa. Debra Libanos è una delle pagine più vergognose della storia italiana. Dal 21 al 29 maggio, soldati del nostro esercito sterminarono centinaia di monaci, preti e pellegrini ortodossi (tutti ovviamente disarmati) radunati nel monastero etiope di Debra Libanos. Su questi fatti, nell’ottantesimo della conquista italiana dell’Etiopia, è stata fatta nuova luce grazie al docu-film «Debra Libanos», girato da Antonello Carvigliani, che sarà messo in onda su Tv2000 oggi 21 maggio (ore 21) e domani 22 maggio (ore 18,30).
Ma che cosa accadde realmente a Debra Libanos? Per capirlo bisogna tornare non al maggio, ma a febbraio del 1937. In quei giorni, due giovani eritrei Abraham Debotch e Mogus Asghedom, lanciano, nel cortile del palazzo del Governo ad Addis Abeba, alcune bombe contro il Vicerè Rodolfo Graziani. Nell’attentato muoiono sette persone e lo stesso Graziani viene ferito alle gambe. I due attentatori fuggono verso Nord, in direzione del monastero copto ortodosso di Debra Libanos. Questo, oltre a essere un importante centro religioso, è il punto di riferimento della resistenza etiope all’occupazione italiana. Graziani fa mettere a ferro e fuoco la capitale. Moriranno centinaia di etiopi e migliaia saranno percossi, violentati e torturati dagli italiani.
Graziani però non ritiene che la vendetta sia compiuta. Prende a pretesto le voci che gli attentatori sono nascosti a Debra Libanos e decide di chiudere il conto con quel «covo di sovversivi» e con la Chiesa copta ortodossa. Il Vicerè ordina al generale Pietro Maletti, comandante della 2a Brigata indigeni dell’Eritrea di muovere contro la cittadella santa (Maletti è il padre di Gianadelio Maletti, l’ex numero due dei servizi segreti italiani che nel 1981 viene condannato per i depistaggi sulla strage di Piazza Fontana).
Il 18 maggio 1937, Pietro Maletti e i suoi uomini arrivano a Debra Libanos e circondano il monastero. Lasciano entrare i pellegrini che stanno giungendo per celebrare festa di San Mikael e la ricorrenza della traslazione delle spoglie di San Tekle Haymanot, ma non lasciano uscire nessuno. Il 21 maggio inizia la mattanza. I soldati italiani sparano con le mitragliatrici contro religiosi e laici. Ad oggi, il numero delle vittime è sconosciuto. Graziani, nel suo rapporto a Mussolini, parlerà di «solo» 449 morti. Secondo studi indipendenti, il numero delle vittime sarebbe tra i 1.800 e i 2.200. Tra essi il vescovo abuna Petros.
Nel documentario di Antonello Carvigliani si riporta la testimonianza di Aro Zewewde Geberu, l’ultimo sopravvissuto, oggi ultra novantenne: «All’epoca avevo 15 anni. Non ho visto il massacro, ma l’ho sentito. Ho sentito i colpi di mitragliatrice. Abbiamo avuto paura e siamo rimasti nel nostro villaggio. Dopo due-tre giorni sono andato a vedere. C’erano ancora centinaia di corpi».
Compiuta la strage, i militari se ne vanno. Sulla vicenda scende l’oblio. Ma oggi il docu-film toglie il velo su una delle vergogne dell’Italia coloniale.