Il loro sogno è soltanto quello di poter ritornare a casa, in Mali. La loro speranza è che il risultato delle elezioni presidenziali metta fine al drammatico anno e mezzo che il Paese ha vissuto.
Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari, dall’inzio del conflitto nel nord del Mali, al principio 2012, circa 174000 civili hanno trovato rifugio nei Paesi confinanti: Burkina Faso, Niger, Mauritania e Algeria.
Mopti, polo economico dello Stato, tutt’ora risente pesantemente della caduta delle città vicine sotto il controllo delle milizie islamiche. Qui l’alta affluenza alle urne e il regolare svolgimento del voto, vengono visti come un segnale positivo per il futuro del Paese.Ma per questa sedicenne le ferite di guerra non guariranno mai: “Mia mamma era andata al mercato. Io stavo pulendo casa. Ho sentito dei colpi di arma da fuoco. Ho fatto rientrare tutti i miei fratelli in casa. Hanno fatto saltare in aria il nostro cancello e sono entrati in cortile”. Poi l’hanno portata via.
“Non ci hanno picchiate. Ci hanno violentate. Un gruppo è entrato per violentarci mentre un altro faceva la guardia. Ci hanno portato della carne ma era quasi cruda. Il tutto è durato una settimana. Poi ci hanno buttate per strada e se ne sono andati”.
Traoré, nome di fantasia, è rimasta incinta e ha dato alla luce un bambino che ora ha quattro mesi. Il padre di Traoré l’ha abbandonata perché per lui la violenza fisica subita dalla figlia rappresentava una maledizione per tutta la famiglia.Ma lei continua a sperare di far crescere il suo bambino in un Paese pacificato.
Duecentomila rifugiati hanno lasciato Gao; Timbuctu e Kidal per trovare riparo nella capitale Bamako e nelle altre città del sud. In molti sono stati accolti da familiari e amici. Altri invece non hanno trovato di meglio che i campi profughi.
Come Jarrou Ag Ahmed che ora vive in Burkina Faso nel campo di Goudoubo che ospita più di diecimila maliani. Al futuro presidente chiede pace e sicurezza per un Paese che in un’epoca non molto lontana era considerato un modello di democrazia, in una regione poco stabile:“Abbiamo passato un anno senza presidente. Abbiamo sofferto molto. Vogliamo avere un capo di Stato che ci garantisca la pace”.
Il compito del prossimo presidente non sarà semplice. Dovrà far ripartire un Paese traumatizzato da diciotto mesi di crisi politica e militare. I rifugiati guardano al futuro nella speranza di una ricostruzione nazionale.
“Se la situazione si stabilizzerà – dice una donna rifugiata – se la pace sarà ristabilita, noi torneremo in Mali perché lì c‘è il nostro cuore” – Euronews