Sono cominciate alla fine di settembre come una protesta degli strati più deboli della società sudanese contro la decisione del governo di Khartoum di eliminare i sussidi petroliferi, le manifestazioni che ormai da oltre una settimana si svolgono quasi quotidianamente in tutte le principali città del paese.
Rapidamente da marce disorganizzate e sporadiche soprattutto nei quartieri poveri e periferici di Khartoum, le proteste si sono estese alla capitale e altre città, come il campus universitario di Omdurman sulla riva opposta del fiume Nilo rispetto a Khartoum, fino a raggiungere anche i capoluoghi degli stati più remoti, come quelli occidentali del Darfur o quello sud-orientale del Blue Nile.sudanproteste
L’annuncio della fine dei sussidi petroliferi e il conseguente aumento a partire dal 23 settembre dei prezzi di benzina, gasolio e in generale dei costi per i trasporti pubblici ha portato diverse migliaia di persone a partecipare alle manifestazioni, che sin da subito sono state duramente represse dalle forze di sicurezza sudanesi attraverso l’uso di gas lacrimogeni e di proiettili, di gomma e non solo.
Incerti sono i bilanci delle vittime, soprattutto per la netta discrepanza tra le cifre fornite dal ministero sudanese dell’Interno, secondo il quale dall’inizio delle proteste sarebbero decedute 33 persone inclusi alcuni poliziotti, e le dichiarazioni di chi sostiene la protesta, che denuncia centinaia di morti. Il presidente del sindacato nazionale dei medici, Ahmed al-Sheikh, in un’intervista all’emittente arabofona al-Jazeera aveva detto domenica che le persone uccise durante le manifestazioni sarebbero state almeno 210.
A causa soprattutto del divieto imposto alla fine della settimana scorsa dalle autorità di Khartoum di accedere alla rete internet, solo con difficoltà i media internazionali riescono a verificare in modo indipendente notizie spesso discordanti.
Alla base della decisione di rimuovere i sussidi, secondo il governo, sarebbe stata la volontà di contenere la spesa pubblica e la teoria che i sussidi petroliferi contribuiscano all’alto tasso d’inflazione che strangola l’economia sudanese, in particolare dopo l’indipendenza due anni fa del Sudan del Sud, sul cui territorio sono concentrati i due terzi dei giacimenti petroliferi da cui Khartoum traeva gran parte della propria ricchezza. Soltanto lo scorso anno, il prodotto interno lordo sudanese è diminuito del 4,4%, anche a causa dei contrasti con il governo sudsudanese sulle tariffe per il transito del greggio negli oleodotti sudanesi fino al terminal petrolifero di Port Sudan.
Le critiche più severe all’annuncio del governo erano arrivate soprattutto dai partiti d’opposizione e in particolare dal National Umma Party (NUP) che, attraverso il suo leader Sadiq Al-Mahdi, aveva messo in allerta sul rischio di provocare una “contro-reazione” popolare da parte dei sudanesi, già costretti a vivere in condizioni economiche estremamente difficili.
Un rischio che si è puntualmente materializzato. Le manifestazioni si sono trasformate in mobilitazioni di massa per chiedere la fine delle misure d’austerity e l’allontanamento del presidente Omar Hassan al-Bashir, al potere dal 1989. Alcuni giorni fa anche i principali partiti dell’opposizione sudanese – il National Umma Party (NUP) ed il Popular Congress Party (PCP) – che finora non si erano espressi sulle proteste, hanno diffuso un appello ai loro sostenitori a partecipare alle mobilitazioni.
Alcune voci critiche sull’opportunità della repressione esercitata dalle forze di sicurezza si sono levate anche tra i membri del partito di governo, il National Congress Party (NCP): sul finire della settimana scorsa una trentina di parlamentari si era rivolto al presidente Bashir affinché intervenisse sulla questione, mentre ieri l’assistente del presidente, Abdel-Rahman al-Sadiq al-Mahdi, ha diffuso un comunicato criticando l’azione del governo.
Non è ancora chiaro se le manifestazioni in corso possano trasformarsi in un movimento organizzato capace di scuotere alle fondamenta lo stato sudanese e l’élite al governo da quasi un quarto di secolo, ma quel che è evidente è come le difficoltà economiche degli ultimi anni e la violenta repressione delle forze di sicurezza stiano spingendo sempre più sudanesi a chiedere con forza un netto cambio di rotta.* Michele Vollaro – Atlasweb