03/12/14 – Kenya – Violenze a Mandera, ora è anche scontro politico

di AFRICA

 

“Il nostro paese e il nostro popolo sono sotto attacco, una guerra è stata dichiarata a tutti i keniani da un nemico che si nasconde dietro la religione ed è stato sparso sangue innocente”. È questo uno dei passaggi salienti del discorso che il presidente Uhuru Kenyatta ha rivolto alla nazione dopo l’ultimo attacco dei fondamentalisti somali Al Shabaab nella località di Mandera, in cui sono morte 36 persone.

Nel discorso – parzialmente ripubblicato come editoriale dal quotidiano Daily Nation – Kenyatta ripercorre la storia recente del Kenya per motivare la decisione presa dal governo nel 2011 di portare la lotta ad Al Shabaab direttamente in Somalia. Il presidente definisce poi “indispensabile” il contributo della comunità islamica allo sviluppo del paese e invita i media a non farsi portavoce di idee “divisive”.

Lo scontro politico, tuttavia, è già una realtà. Dopo l’attacco, l’Orange Democratic Movement (Odm), partito del leader d’opposizione Raila Odinga, ha annunciato manifestazioni nazionali per chiedere le dimissioni di Kenyatta e del capo dell’esercito, il generale Julius Karangi. Il governo, accusa l’Odm, “ha perso il controllo di metà del paese”.

All’accusa ha reagito il vice-presidente William Ruto, sostenendo che i lavoratori uccisi nei pressi di Mandera erano stati avvertiti dalla polizia del pericolo e invitati a rifugiarsi in città. Tuttavia, ha sostenuto il vice di Kenyatta, bisogna ammettere “il fallimento delle forze di sicurezza: avremmo dovuto farli spostare con la forza”.

Intanto, attraverso un video diffuso su internet, Al Shabaab ha rivendicato l’attentato e fornito la sua interpretazione dei fatti. Un militante identificato come Ahmad Iman Ali, di origine keniana, ha definito l’azione una rappresaglia per i fatti di Mombasa. Il riferimento non è soltanto ai recenti raid della polizia in alcune moschee della città portuale, ma anche alle uccisioni di alcuni leader religiosi radicali Shiekh Aboud Rogo (assassinato nell’agosto 2012), Abubakar Shariff Ahmed (morto lo scorso aprile) e Samir Khan (aprile 2012). “Gli attacchi continueranno finché non incontreremo Allah”, ha detto Iman Ali. – Misna

 

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