“E’ prematuro vedere in questa crisi un conflitto interreligioso anche perché in Centrafrica per decenni abbiamo vissuto in totale armonia con i musulmani (il 10-12% della popolazione, ndr). Abbiamo invitato la gente alla vigilanza e alla prudenza ma noi, come Chiesa cattolica, continueremo ad adoperarci a favore del dialogo e della riconciliazione”: lo dice alla MISNA padre Francis Siki, curato della cattedrale di Bangui, mentre nel paese continuano violenze e furti della Seleka, a due mesi dal colpo di stato che lo scorso 24 marzo ha portato al potere l’ex capo della ribellione, Michel Djotodia. Da allora fonti religiose locali denunciano un’ostilità dei miliziani nei confronti della Chiesa cattolica e temono che Djotodia cerchi di instaurare una Repubblica islamica.
“E’ vero che i beni della Chiesa sono stati saccheggiati su vasta scala dai ribelli Seleka mentre quelli dei musulmani sono stati risparmiati. E’ anche vero che alcuni provvedimenti o dichiarazioni ufficiali sono ambigui e possono preoccuparci, ma non bisogna cedere ad interpretazioni facili e rischiose” prosegue l’interlocutore della MISNA, che è anche il presidente della Caritas a Bangui. Ma, per padre Siki, il nodo della questione non riguarda la religione musulmana ma bensì “la folta presenza nella Seleka di soggetti stranieri, per lo più ciadiani e sudanesi, che si comportano come conquistatori del Centrafrica, derubando beni di tutti, distruggendo infrastrutture e sfruttando le risorse”.
Fonti della società civile contattate nella capitale sottolineano che la sfida principale è il ripristino della sicurezza a Bangui e su tutto il territorio nazionale per consentire alla gente di riprendere regolarmente le proprie attività. Il primo ministro Nicolas Tiangaye ha avviato consultazioni con tutte le forze politiche e con esponenti della società civile per formare un governo di unità nazionale, come chiesto dai paesi mediatori dell’Africa centrale. “Le questioni istituzionali – dice un rappresentante locale della società civile – sono polvere negli occhi. Qui bisogna disarmare i ribelli con l’aiuto di forze esterne. Solo dopo le nuove autorità potranno mettersi al lavoro e far fronte alle necessità dei centrafricani sempre più poveri e in balia dei miliziani stranieri”. – Misna