Oggi, come da due mesi a questa parte, società civile e opposizione hanno indetto un nuovo “mercoledì in rosso” per manifestare contro la riforma della Costituzione voluta dal presidente Thomas Boni Yayi, presumibilmente per consentirgli di candidarsi a un terzo mandato nel 2016 . “Il rosso è uno dei colori della bandiera del nostro paese, ma è anche quello della rabbia e del coraggio” ha spiegato Joseph Djogbénou, presidente del movimento Alternativa cittadina (Ac), invitando i beninesi ad indossare un indumento rosso ogni mercoledì fin quando il progetto di legge per emendare la legge fondamentale non sarà ritirato. “I raduni dell’opposizione vengono vietati o dispersi sia a Cotonou che a Porto-Novo mentre i ‘venerdì bianchi’ indetti dai sostenitori di Boni Yayi sono autorizzati. Siamo di fronte a una deriva poco democratica che spaventa buona parte della popolazione” dicono alla MISNA fonti religiose contattate nella capitale, confermando il deteriorarsi della situazione socio-politica nel paese dell’Africa occidentale e “una tensione sempre più palpabile”.
Secondo le fonti locali, la corruzione dilagante, la crisi economica e il mancato accesso alle necessità elementari hanno alimentato il crescente malcontento della gente. Il contesto, poi, si è ulteriormente deteriorato lo scorso ottobre, in seguito al caso del presunto complotto ai danni del presidente Boni Yayi, e dopo il progetto di revisione della Costituzione presentato al parlamento lo scorso aprile. Nel 2009 il capo dello Stato aveva cercato di far approvare una legge simile ma il suo progetto era stato bloccato dal Consiglio costituzionale.
Nelle ultime settimane il dissenso nei confronti di una possibile revisione costituzionale è andato ben oltre i tre partiti dell’Unione fa la nazione (Un, opposizione), del Partito del rinnovamento democratico (Prd, centro) e del Partito Rinascita del Benin. Al di là della società civile beninese, è scesa in campo anche la Conferenza episcopale del Benin che, con un messaggio pubblicato lo scorso 15 agosto, ha evidenziato una crisi di fiducia nelle istituzioni e auspicato l’apertura di un dialogo per superare le divisioni e andare verso l’adozione di riforme consensuali.
“La Chiesa ha voluto rilanciare il grido di allarme di un popolo in sofferenza e avvertire dei rischi concreti di divisioni sempre più nette e di un malessere sempre più profondo” conclude l’interlocutore della MISNA. Con toni duri, il presidente Boni Yayi, eletto nel 2006 e riconfermato nel 2011, ha accusato la Chiesa cattolica di “ingerenza nella vita politica” e di “alimentare le divisioni piuttosto che riconciliare”. Non avrebbe contribuito a riappacificare il clima sociale l’appello patriottico lanciato lo scorso fine settimana dal governo secondo il quale il progetto di revisione “si propone di consolidare la democrazia e accelerare la marcia del paese verso la modernità e il progresso”. – Misna