Il Kenya potrebbe diventare il primo paese al mondo a ritirare la propria adesione allo Statuto di Roma e alla Corte penale internazionale (Cpi). Il parlamento di Nairobi, riunitosi per una seduta straordinaria, sta discutendo in questi giorni la possibilità di revocare la partecipazione dall’organismo di giustizia internazionale.
Si tratta dell’ennesimo colpo di scena nel braccio di ferro tra i giudici dell’Aia e Nairobi, che contesta i procedimenti per crimini contro l’umanità a carico del presidente Uhuru Kenyatta e del suo vice William Ruto, oltre che ad altri esponenti di primo piano sulla scena politica e sociale keniana.
I magistrati hanno già fatto sapere che – anche in caso di ricusazione della membership del Kenya, una prima assoluta dalla creazione della corte, nel 2002 – i procedimento a carico degli imputati andrebbero avanti.
La prossima settimana è prevista l’apertura del processo contro Ruto, accusato al pari di Kenyatta di aver organizzato e favorito le violenze post-elettorali che nei primi mesi del 2008 in Kenya causarono oltre 1100 morti e oltre 600.000 sfollati. Il dibattito precede quello a carico del presidente Kenyatta il cui inizio è preisto il 12 novembre.
Secondo il quotidiano Daily Nation non è improbabile che la mozione presentata dal leader della maggioranza in senato Kithure Kindiki, riceva i voti necessari per essere approvata, con conseguenze e implicazioni imprevedibili a livello diplomatico.
Kenyatta e Ruto – su fronti opposti nelle elezioni ‘incriminate’ – hanno più volte chiesto di archiviare le accuse nei loro confronti definendole “politicamente motivate”, promettendo tuttavia di voler “collaborare pienamente” con i giudici. Alcuni leader africani e la stessa Unione Africana hanno sostenuto con forza la posizione del Kenya, accusando la Cpi di “perseguitare i leader africani” senza occuparsi di crimini commessi da stati in altre parti del mondo. A suffragare l’accusa, il fatto che otto processi su otto in corso all’Aia riguardino imputati del continente.
Resta il timore, da parte di chi le violenze le ha subite e ha perso i propri cari nei disordini, di non riuscire ad ottenere giustizia ora che i principali indagati hanno raggiunto ruoli chiave nel sistema di potere. – Misna