Il caso del sequestro di Onoud Senussi, figlia dell’ex capo dell’intelligence del regime di Gheddafi, indica l’incapacità delle autorità libiche di garantire la sicurezza delle persone detenute in relazione al conflitto del 2011, che ha portato alla fine della dittatura del Colonnello. E’ il monito di Amnesty international in risposta al rapimento di Senussi, avvenuto lunedì sera immediatamente dopo il suo rilascio a pochi metri dalla prigione dove era stata detenuta per 10 mesi. Uomini armati avrebbero aperto il fuoco sul convoglio della polizia giudiziaria che stava scortando la ragazza all’aeroporto di Tripoli, dove avrebbe preso un volo per raggiungere la famiglia a Sebha, nel sud del Paese.
La ragazza era stata arrestata nel mese di ottobre 2012 per essere entrata con un passaporto falso in Libia dall’Algeria per visitare suo padre in carcere. Abdullah Senussi è detenuto a Tripoli, dove dovrebbe essere processato con il primogenito del colonnello, Seif Al Islam, il 19 settembre. E’ inoltre ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità durante la rivolta del febbraio 2011.
”Le autorità libiche devono mostrarsi capaci di far fronte agli abusi perpetrati dalle milizie altrimenti il sistema giudiziario libico rimarrà disfunzionale”, si legge in un comunicato di Hassiba Hadj Sahraoui, Vice Direttrice per il Medio oriente e Nord Africa di Amnesty International . ”Come possono essere in grado di applicare la legge se non riescono neanche a garantire la minima sicurezza ai detenuti?” Secondo l’organizzazione per i diritti umani sarebbero più di 8.000 le persone finite in carcere dopo il conflitto del 2011, alcuni dei quali sarebbero stati sequestrati, torturati e in alcuni casi uccisi. I sequestri avvengono solitamente quando un detenuto viene trasferito in tribunale o rilasciato; in alcuni casi vengono rapiti all’interno delle prigioni. Amnesty sottolinea inoltre la sua preoccupazione per i processi in corso dove gravano dubbi sulla correttezza delle procedure e per le detenzioni arbitrarie, all’ordine del giorno. A ciò si aggiungono gli attacchi e le minacce alle autorità giudiziarie.
L’organizzazione denuncia anche la possibilità di centinaia di condanne a morte per gli ex sostenitori del colonnello. Accusato di incitamento alla discordia e alla guerra civile l’ex Ministro dell’Istruzione, Ahmed Ibrahim, è stato già condannato a morte lo scorso 31 luglio insieme ad altre 5 persone. – Ansa