“Il problema non è solo il finanziamento dei gruppi ribelli ma il rispetto dei diritti umani” dice alla MISNA Claude Kabemba, direttore di Southern Africa Resource Watch (Sarw). L’obiettivo di questa e tante altre ong è riformare il Processo di Kimberley, il sistema di certificazione contro i “diamanti insanguinati”.
Il dibattito si è riacceso in coincidenza con l’apertura in Sudafrica di una riunione di dirigenti ed esperti dell’industria delle pietre preziose provenienti da decine di paesi. Gli incontri sono in corso da ieri a Kimberley, una cittadina che nel XIX secolo fu trasformata dalla scoperta dei diamanti e che nel 2003 ha visto nascere l’attuale sistema di certificazione.
“Conclusa la maggior parte dei conflitti armati legati ai diamanti – sottolinea Kabemba – il Processo di Kimberley continuerà ad avere un significato solo se potrà monitorare l’intera catena produttiva dei diamanti e verificare se le pietre preziose stiano alimentando violazioni dei diritti umani o nuovi conflitti”.
Costituito sulla base di una risoluzione dell’Assemblea generale dell’Onu, sin dall’inizio il sistema di certificazione ha dovuto “garantire che le vendite di diamanti non finanziassero le violenze dei movimenti ribelli e di loro alleati impegnati a combattere governi legittimi”.
Secondo Kabemba, oggi il Processo di Kimberley dovrebbe far propria una più ampia. “Sarebbe opportuno – dice il direttore di Southern Africa Resource Watch – che il monitoraggio fosse esteso in particolare ai diritti dei cosiddetti minatori ‘artigianali’; una forza predominante a sud del Sahara, soprattutto nell’estrazione dell’oro”. – Misna