“Non è Amcu che vuole 12.500 rand al mese, siamo tutti noi, i lavoratori”. Charlie, minatore a Marikana, nel cuore della “cintura del platino” a nord di Johannesburg preferisce non essere chiamato con il suo vero nome, ma parla chiaro: per lui lo sciopero che da 14 settimane – un record – paralizza parte delle attività estrattive in Sudafrica, con conseguenze sul 40% del mercato mondiale di questo metallo prezioso, deve continuare.
Charlie ha 55 anni, viene dal Lesotho e a casa ha una famiglia (una moglie, quattro figli, tre dei quali sposati, una figlia e diversi nipoti) per cui – dice – il suo stipendio è l’unica fonte di reddito. Ma non ha dubbi nel seguire la linea del sindacato – Amcu appunto – di cui fa parte: bisogna scioperare ad oltranza, finché la richiesta di un raddoppio del salario base non sarà accettata. Poco importa che, a loro volta, le grandi aziende multinazionali proprietarie delle miniere (tra cui Lonmin, Impala Platinum e Anglo-American) sostengano di poter offrire al massimo un aumento immediato del 10% e poi benefici graduali attraverso cui la cifra di 12.500 rand (circa 900 euro) sarà raggiunta entro il 2017.
“Per noi il 10% non significa nulla, non capiamo cosa vuol dire: i proprietari delle miniere fissino almeno una cifra” se vogliono che si torni al lavoro, chiede Charlie. Quanto siano disposti a resistere, i minatori lo hanno dimostrato ad agosto 2012, quando durante un altro sciopero selvaggio 34 persone rimasero uccise dopo che la polizia aveva aperto il fuoco sulla folla. Sui fatti il governo ha istituito una commissione d’inchiesta, e ne ha prorogato più volte il mandato, ma pochi nella zona credono possa arrivare a dei risultati. Intanto la situazione si è fatta più calma, e non ci sono manifestazioni pubbliche: la gente, piuttosto, siede al lato della strada, o si dedica alle attività quotidiane, ma la produzione è quasi bloccata: solo alcuni impianti di dimensioni più piccole lavorano e pochissimi dei camion che trasportano il minerale ai centri dove viene lavorato girano per le strade, lenti e vuoti.
Nella zona corre però voce che Amcu abbia anche spie tra i minatori, per controllare – ed eventualmente punire – chi dissente dalla linea del sindacato. Sono soprattutto i membri della sigla rivale, la National Union of Mineworkers (Num), ad avere paura: sono pochi quelli che accettano di parlare e anche tra questi, molti tentano di tenere una posizione sfumata. Secondo un altro lavoratore, che arriva dalla regione del Capo Orientale, chi ha iniziato lo sciopero ha “perfettamente ragione”, ma bisogna anche “prendere in considerazione la situazione dell’economia”: la posizione delle aziende, quindi, è per lui comprensibile, anche se, concorda, “il management dovrebbe smettere di parlare solo di percentuali”. Una soluzione, dice, potrebbe arrivare “se il governo intervenisse” direttamente nella disputa. “Forse se ne discuterà dopo le elezioni”, spera l’uomo del Capo Orientale, che guarda con fiducia al voto del 7 maggio.
Il minatore spiega che voterà per l’Anc, il partito di governo, nonostante altri movimenti, come gli Economic Freedom Fighters del giovane leader Julius Malema puntino sullo scontento nel settore minerario per raccogliere voti: “Fanno promesse vuote, e non hanno esperienza”, è la conclusione. Meglio aspettare, dunque, anche se con il blocco dell’attività delle miniere chi ci lavora ha perso il diritto, ad esempio, all’assistenza sanitaria e alcuni negozi dell’area, nati proprio per la presenza degli impianti di estrazione, minacciano ora di chiudere, costringendo ancora più famiglie a vivere di piccoli scambi e di attività informali più o meno legali. * Davide Maggiore – Atlasweb