“Alla fine a pagare saranno solo le vittime, che non riceveranno giustizia per i torti subiti”: ne è convinto padre Franciso Carrera, missionario comboniano e direttore della rivista New People a Nairobi, a cui la MISNA ha chiesto un commento sull’approvazione, ieri alla camera dei deputati, di una mozione per il ritiro del Kenya dalla Corte Penale internazionale.
Frutto di un lungo braccio di ferro con i giudici dell’Aia – che hanno incriminato l’attuale presidente Uhuru Renyatta e il suo vice William Ruto tra altre personalità di spicco, per le violenze post-elettorali del 2008 – il voto di ieri è il primo passo di un lungo procedimento.
“Sulla vicenda i keniani hanno le idee confuse, anche perché Kenyatta e Ruto – espressione delle comunità rivali Kikuyu e Kalenjin che nel 2007 presero parte ai massacri – successivamente si sono alleati e oggi governano insieme” osserva il missionario. Ad acuire un sentimento di scetticismo diffuso nei confronti della giustizia internazionale è anche il fatto che l’ex presidente Mwai Kibaki e il leader dell’opposizione Raila Odinga non siano stati chiamati in causa dai magistrati.
“Nelle violenze scoppiate dopo il voto di dicembre 2007 erano coinvolti numerosi partiti e uomini politici, ma sono alcuni sono stati indicati come responsabili dalle commissioni di inchiesta incaricate di accertare i fatti – spiega il responsabile della rivista New People – contribuendo ad alimentare le voci secondo cui le accuse erano politicamente motivate”.
Se anche il Kenya dovesse decidere di ritirarsi dalla Corte penale e ricusare la firma dallo Statuto di Roma, che ne costituisce il fondamento, i giudici dell’Aia hanno annunciato che i processi a carico degli indagati proseguiranno. Per il prossimo 10 settembre è fissata l’apertura del dibattimento nei confronti di Ruto, accusato al pari di Kenyatta di aver organizzato e favorito i massacri che nei primi mesi del 2008 in Kenya causarono oltre 1100 morti e 600.000 sfollati. Il dibattito precede quello a carico del presidente Kenyatta il cui inizio è previsto il 12 novembre.
“Governo e parlamento stanno presentando la faccenda agli occhi dell’opinione pubblica come una violazione della sovranità nazionale e una questione d’onore” commenta il missionario “mentre il Kenya ha avuto due anni di tempo per creare tribunali ad hoc che investigassero e perseguissero i responsabili, e non lo ha fatto. Ma oggi questo, nessuno lo ricorda più”. – Misna