06/11/13 – R.d. Congo – In Nord Kivu vince l’opzione militare, ma ora serve sviluppo

di AFRICA

 

Sconfitta militarmente, messa all’angolo dalla comunità internazionale, confrontata all’intransigenza del governo di Kinshasa in sede negoziale e ‘abbandonata’ dai suoi padrini ruandesi, la ribellione del Movimento 23 marzo (M23), dopo un anno e mezzo di lotta armata nel Nord-Kivu, ha ceduto.

Ieri, 5 novembre, il presidente dell’ala politica del movimento, Bertrand Bisimwa, ha annunciato la fine della ribellione e chiesto ai suoi capi militari di far deporre le armi ai propri combattenti in vista di una “soluzione politica ai problemi” e di un “reinserimento”.

Se la notizia della fine della ribellione è stata accolta positivamente dalla comunità internazionale e dalla popolazione, è tuttavia l’espressione di una soluzione strappata con la via delle armi e del fallimento della via negoziale intrapresa a Kampala tra gli insorti e il governo di Kinshasa.

Le parti dovrebbero comunque tornare a sedersi allo stesso tavolo per formalizzare la fine di questa crisi, ma questa volta sono in molti ad opporsi a un ritorno nelle forze armate regolari di ammutinati responsabili di crimini di guerra.

Lo scenario, ben noto alle popolazioni del Kivu, è già stato un fallimento. Nel 2009, Kinshasa aveva accettato l’integrazione degli uomini del Congresso nazionale per la difesa del popolo (Cndp), l’allora ribellione filo ruandese rinata nell’aprile 2012 sotto il nome di M23, ma quando il governo centrale decise di spostare le truppe dalla provincia mineraria del Nord-Kivu verso altre regioni, gli ex Cndp denunciarono la violazione degli accordi, si ammutinarono e presero progressivamente il controllo di intere zone dei territori del Rutshuru e del Masisi.

L’apice della ribellione avvenne un anno fa, nel novembre del 2012, quando l’M23 conquistò per qualche giorno Goma, capoluogo della provincia al confine con il Rwanda, sotto gli occhi dei caschi blu della Monusco. L’episodio mise in allarme le grandi potenze e i paesi della regione, che avviarono un ciclo di incontri diplomatici ad alto livello mentre sul terreno il Nord-Kivu sprofondava nel caos e si consolidava lo status quo.

Ci sono voluti altri lunghi mesi, altri vertici, altre vittime e molti soprusi sui civili per arrivare a questa soluzione. Una soluzione che non rappresenta la fine dei problemi per questa area dell’est congolese, una delle regioni meno sviluppate al mondo nonostante immense ricchezze minerarie e terre fertili all’ombra dei vulcani.

Resta il nodo degli altri gruppi armati, passati in secondo piano ma non per questo meno attivi in questi ultimi mesi. Si tratta delle varie fazioni mayi-mayi, delle Adf-Nalu , delle Forze democratiche per la liberazione del Rwanda – di cui l’M23 chiede con forza lo smantellamento – e più in generale della trentina di gruppi armati attivi nell’est del paese.

In questo contesto di insicurezza – un’insicurezza che fa comodo ai protagonisti del traffico di minerali, tra cui figurano anche esponenti dell’esercito regolare – è gigantesca la sfida dello sviluppo. Solo il 16% circa della popolazione ha l’acqua potabile in casa e circa il 4% ha l’elettricità. Si conta un medico per 24.000 abitanti e 47 ospedali per circa 5 milioni di abitanti. Secondo dati dell’Undp del 2009, circa il 73% della popolazione del Nord-Kivu vive nella povertà. Uno dei grandi problemi è quello delle infrastrutture dei trasporti della regione, con strade in pessimo stato e mancanza una ferrovia. * Celine Camoin – Atlasweb

 

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