Il Rwanda ha problemi demografici e poche risorse: quel pezzo di terra accanto, ricco in miniere, è stato teatro di confronto armato negli ultimi anni per gruppi ribelli, forze armate e varie missioni Onu.
Le vicende degli ultimi giorni e la sonora e repentina sconfitta dei ribelli dell’M23 – sostenuti da Uganda e Rwanda – ad opera dell’esercito congolese e di una brigata di intervento delle Nazioni Unite sembrano segnare una svolta per questa martoriata regione in cui la popolazione civile ha subito le violenze della guerra e gli appetiti di piccole e grandi potenze.
A Kigali, i media hanno puntato l’indice contro le Nazioni Unite: “Hanno preso le parti di uno dei contendenti venendo meno al principio di neutralità” scrivono fior di opinionisti ruandesi con malcelata rabbia.
Paul Kagame, il presidente del Rwanda post-genocidio, non si esprime, a esprimersi è invece Jacob Zuma. Lo scorso lunedì, il capo di Stato sudafricano – i cui militari sono il fulcro della brigata d’intervento dell’Onu in Congo – aveva avuto modo di parlare del Kivu nel corso di un vertice congiunto tra i paesi dell’Africa australe (Sadc) e quelli della Regione dei Grandi laghi (Icglr). Zuma ha parlato di futuro, pace, sicurezza e stabilità.
Molti osservatori dicono quel che Zuma non dice. Sostengono infatti più semplicemente che Angola e Sudafrica hanno di fatto attratto Kinshasa nella propria area d’influenza, staccandola dall’Africa orientale. Una determinazione che ha messo all’angolo il piccolo Rwanda con l’Uganda che, tutto sommato, ha altre esigenze e poca voglia di andarsi a ricacciare in situazioni non più gestibili come un tempo. Lungo il confine che separa il Kivu dal Rwanda, potrebbe adesso passare il confine tra la regione australe del continente e il blocco orientale. Blocchi ora concorrenti che potrebbero in futuro anche riavvicinarsi e che sul Congo hanno giocato una partita lunga diversi anni. * Maria Scaffidi – Atlasweb