Le Regine d’Africa hanno surclassato Barbie. Con la pelle nera e i costumi tradizionali Hausa, Igbo e Yoruba. In Nigeria se ne vendono tra le 200 e le 300 al giorno, a prezzi compresi tra i 1300 e i 3500 naira, tra gli otto e i 22 dollari. E valgono ormai il 15% di un mercato che, ogni anno, cresce con percentuali a due cifre.
Alla MISNA lo dice Taofick Okoya, un imprenditore di 43 anni che ha colto un’opportunità da non perdere. “Siamo in trattativa con la catena di distribuzione sudafricana Game Store – spiega – con l’obiettivo di portare le bambole sugli scaffali di 70 supermercati e punti vendita in tutta l’area sub-sahariana”. Il progetto è nato dal successo ottenuto in Nigeria, un paese dove cento milioni di persone vivono con l’equivalente di un dollaro al giorno ma dove l’economia cresce del 7% l’anno e la classe media è sempre più numerosa.
Secondo Okoya, le Regine d’Africa mettono in discussione stereotipi imposti dalla globalizzazione, anche rispetto ai canoni di bellezza. “Queste bambole – dice l’imprenditore – rendono le bambine più sicure di sé, dimostrando che per essere affascinanti non bisogna avere per forza la pelle bianca o vestire all’occidentale”. Di certo, il rapporto qualità-prezzo sta funzionando. Anche perché, per contenere i costi di produzione, i pezzi delle bambole arrivano dalla Cina. In una fabbrica alla periferia di Lagos, nel sobborgo di Surulere, gli operai le assemblano e le vestono. Senza dimenticare il gele, copricapo dai colori accesi caratteristico delle donne nigeriane.
E le Barbie? Okoya dice che a sud del Sahara se ne sono sempre viste poche. Più che una scelta, un errore, quello dei produttori americani di Mattel. Secondo l’istituto di ricerca Euromonitor, tra il 2006 e il 2011 nel mondo industrializzato il mercato dei giocattoli è cresciuto di appena l’1%. Nei paesi emergenti, dalla Nigeria al Messico all’Indonesia, l’espansione è stata 13 volte maggiore. – Misna