07/03/14 – Africa – Immigrazione: don Zerai, Ue non chiuda cuore a nuovi schiavi

di AFRICA

 

Ogni mese fuggono dall’Eritrea tremila giovani. Lasciano un Paese sotto la dittatura ma, mettendosi nelle mani dei trafficanti di uomini, entrano in un inferno, fatto di ricatti, torture, violenze, sequestri. Chi ce la fa arriva in Israele attraverso il Sinai oppure, passando per la Libia, prende un barcone per l’Europa. Come quello naufragato al largo di Lampedusa lo scorso 3 ottobre.

L’emergenza umanitaria dei ”nuovi schiavi” dell’Africa è stata presentata oggi alla stampa dall’Oim, l’organizzazione internazionale per le migrazioni, e l’agenzia Habeshia. A guidare questa ong è un sacerdote eritreo, don Mussié Zerai.

Chiede all’Europa di aprire il cuore di fronte a questa tragedia umana e l’appello è in particolare per l’Italia che sull’Eritrea, sua ex colonia, ”ha responsabilità storiche e morali”. I viaggi della disperazione partono dall’Eritrea, passano per Paesi come il Sudan, dove alcune milizie corrotte chiudono un occhio di fronte al ”traffico”. Fino al Sinai, in Egitto, dove i beduini fanno ‘merce’ di queste persone. Stupri, torture e violenze, per avere un riscatto dalle famiglie.

Un’altra parte arriva invece in Libia: o finisce in carcere o su una carretta del mare. Come quella di Lampedusa dove c’è ancora un dramma nel dramma. Le salme degli eritrei ”tardano a rimpatriare perché l’Italia vuole un confronto del dna con i familiari e ha affidato la questione alla Croce Rossa” che dovrebbe per questo chiedere la collaborazione al governo di Asmara.

”Tutto è ancora in alto mare”, dice don Zerai. Il prete eritreo vedrà a maggio Papa Bergoglio per presentare queste situazioni. Un Papa – come ha ricordato il direttore della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi – che ”ha posto un forte accento proprio sul problema dei migranti, dei rifugiati, sul dramma della tratta delle persone”.

Infine l’allarme per l’allargarsi delle rotte dei trafficanti, dal Sinai a Paesi asiatici come Vietnam, Indonesia, Tailandia, ”dove la gente viene portata con il miraggio di arrivare in Europa o in Australia e invece poi viene abbandonata là”.

José Angel Orpeza, direttore dell’ufficio Oim per il Mediterraneo ripete più volte la parola ”orrore” e fa un appello: ”Dobbiamo fare di più perché non è possibile restare indifferenti di fronte a tanta sofferenza”.

Alganesh Fessaha, medico, presidente della Ong Gandhi, e soprattutto donna coraggiosa, fa parlare le foto che ha con lei, con corpi straziati e mutilati. Racconta dell’amicizia con uno sheikh salafica del Sinaii che l’aiuta a strappare qualche giovane dalle catene in cui è finito. E riferisce di un altro business di questa tragedia: quello del traffico di organi umani. Infine suor Azezet Kidane, comboniana, sempre di origine eritrea, ora impegnata tra Tel Aviv e Betania ad aiutare chi arriva in Israele. ”Non credevo a quello che sentivo né a quello che vedevo con i miei occhi”, dice riferendosi al suo lavoro nella clinica che accoglie chi sopravvive ai viaggi della disperazione. Ma lascia uno spiraglio di luce: ”Nonostante le sofferenze c’è in questa gente una grande fede, una grande speranza, il desiderio di un domani migliore’‘. (ANSAmed)

 

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