Le multinazionali non rispettano le leggi, mentre i contadini sono costretti a lasciare i villaggi e sono sempre più poveri: monsignor Inacio Saure, vescovo di Tete, riassume così alla MISNA la situazione paradossale che sta vivendo la popolazione di una delle regioni del Mozambico più ricche di materie prime.
“Il governo sostiene che le difficoltà sono così accentuate solo perché lo sfruttamento dei giacimenti di carbone è cominciato da pochi anni – dice monsignor Saure – ma la verità è che i contadini stanno vivendo un grandissimo malessere e che presto potrebbero esserci nuove rivolte della disperazione”.
Nella provincia di Tete, nell’area dei giacimenti di Moatize, ci sono stati diversi precedenti. L’ultima protesta risale a maggio, quando gli abitanti della zona bloccarono per ore la ferrovia che collega le miniere della multinazionale brasiliana Vale con i terminali per l’export in riva all’Oceano Indiano. A erigere barricate di pneumatici in fiamme sui binari erano state le famiglie di fabbricanti di mattoni che, a causa dell’apertura delle miniere, avevano dovuto trasferirsi nei cosiddetti villaggi di “re-insediamento”.
Anche loro, sulla base di una legge del 2013, devono essere risarciti dalle multinazionali. Ma quei pochi soldi arrivano con il contagocce o per nulla. Vale, Rio Tinto, Jindal e le altre multinazionali di Moatize hanno versato appena sette milioni e 200.000 meticais (circa 162.000 euro) a fronte di un totale dovuto di 22 milioni e 200.000. A denunciarlo non sono stati rappresentanti dei contadini o attivisti per i diritti umani, ma gli amministratori di Tete, in passato accusati di aver appoggiato la repressione delle proteste. – Misna