“I diamanti centrafricani sono stati sospesi il 23 maggio e la decisione è stata riconfermata. Non sono prodotti nel rispetto dei criteri stabiliti dal Sistema di Kimberley. Verranno riammessi solo quando alcune misure correttive verranno attuate e che le pietre saranno di nuovo in conformità”: la decisione finale è stata comunicata dal portavoce del ministero sudafricano delle Risorse minerarie, Trevor Hattingh, al termine di una riunione internazionale durata quattro giorni, in occasione del decimo anniversario del Kimberley Process. All’incontro, svoltosi a Kimberley – una cittadina che nel XIX secolo fu trasformata dalla scoperta dei diamanti e che nel 2003 ha visto nascere l’attuale sistema di certificazione – hanno partecipato dirigenti ed esperti dell’industria delle pietre preziose provenienti da decine di paesi.
Il settore diamantifero è cruciale per l’economia del Centrafrica – tra i primi cinque produttori al mondo – oltre a fornire lavoro in modo diretto e indiretto a un quarto della popolazione. Ma per i membri del Kimberley Process, dalla destituzione dell’ex presidente Bozizé “le operazioni di controllo e monitoraggio dell’estrazione diamantifera non sono più possibili” a causa dell’insicurezza e per difficoltà amministrative, pertanto le pietre prodotte potrebbero servire a “finanziare gruppi armati e conflitti”.
Non è bastata a evitare la conferma della sanzione la moratoria sui diamanti annunciata nei giorni scorsi dal nuovo presidente centrafricano, l’ex capo ribelle Michel Djotodia al potere dal colpo di stato del 24 marzo. “Sanzionare il Centrafrica significa far precipitare il nostro paese nel baratro” ha commentato Djotodia, approvando una moratoria sullo sfruttamento e la vendita “per non sentire più parlare di diamanti di guerra” e una serie di misure tese a “moralizzare il settore”. La sospensione dal Kimberley Process era stata definita come “ingiusta e penalizzante” dal ministro delle Miniere e del petrolio Hervé Gotron Djono Habba. Secondo il ministro , il blocco delle esportazioni di diamanti – una delle principali fonti di introiti per il Centrafrica – è “una sanzione che non farà altro che complicare la gestione dello Stato e della transizione da parte delle nuove autorità”. Come conseguenza della crisi politico-militare cominciata lo scorso dicembre ma anche per gli sperperi di dieci anni di presidenza Bozizé, le autorità di Bangui non hanno più fondi per pagare stipendi arretrati dei pubblici dipendenti, far fronte all’emergenza umanitaria e ristrutturare le forze di sicurezza.
In passato la produzione centrafricana è già stata oggetto di sospetti sia per la corruzione dei vari regimi che per la presenza costante di gruppi ribelli nelle zone di estrazione della pietra preziosa. Alcuni osservatori hanno, inoltre, suggerito che alcuni operatori delle settore diamantifero abbiano finanziato la ribellione Seleka (alleanza in lingua sango) per destituire Bozizé. Della coalizione ribelle, passata all’offensiva lo scorso dicembre, fanno parte miliziani centrafricani di fazioni dissidenti di gruppi storici ma soprattutto combattenti stranieri, del Ciad e del Sudan. – Misna