Prima della crisi economica il tabacco era uno dei prodotti di punta dell’agricoltura dello Zimbabwe e oggi, mentre il paese cerca segnali di risveglio, la rinascita del settore dà speranza al governo di Harare. La produzione di quest’anno è stata di oltre 205.000 tonnellate: più del quadruplo rispetto al 2008. E per l’anno prossimo è attesa un’ulteriore crescita.
Il boom, però, rischia di costare caro ad un altro patrimonio del paese, quello naturale, in particolare alle foreste. I piccoli agricoltori locali per ottenere il carbone necessario alla lavorazione delle foglie di tabacco preferiscono abbattere alberi già esistenti piuttosto che piantarne di nuovi, una pratica che è alla portata economica solo delle imprese più grandi, circa 1400 su oltre 90.000.
Piantare alberi, denunciano infatti gli agricoltori, sottrarrebbe superficie preziosa ai loro campi e dunque spazio alle coltivazioni stesse. Quello tra tabacco e alberi appare dunque un dilemma insolubile che le compagnie stesse non aiutano a risolvere, sostengono i contadini. Per molti di loro, garantire certi livelli di produzione significa automaticamente ricorrere alle foreste che già esistono. I risultati a lungo termine, però, sono disastrosi.
Un’indagine della Commissione governativa per l’Ambiente – citata dall’agenzia Ecofin – ha rivelato che ormai lo Zimbabwe non dispone che del 45% delle sue foreste originarie e che – al ritmo attuale – queste potrebbero scomparire entro 50 anni. Già il 15% della superficie totale del paese – secondo stime riportate dalla stessa agenzia – è interessato da questo fenomeno. – Misna