Mentre continua ad aggravarsi il bilancio dell’attacco di ieri al quartier generale della milizia ‘Scudo della Libia’ (oggi i morti sono saliti a 31, mentre i feriti non sono meno di cento), il Paese attraversa l’ennesima crisi della sua storia piu’ recente.
Oggi nel cimitero di al-Hawari, mentre venivano celebrati, in un clima di grande tensione, i funerali di gran parte dei morti nell’attacco, si sono sentiti ancora una volta slogan contro le milizie armate che costituiscono per la Libia un problema dalle mille sfaccettature. Un evento che, per la sua gravita’, ha spinto il capo di stato maggiore dell’esercito, Yussef al-Mangoush, a conclusione di una drammatica e tesa audizione a porte chiuse davanti al parlamento, a presentare le sue dimissioni, subito accettate. Costituite in gran parte di ex insorti contro Gheddafi, le milizie – forti soprattutto nel sud del Paese – sono oggetto di una operazione del governo che cerca di integrarle nel corpo militare dello Stato. In parte perche’ non ha la forza per dissolverle, in parte perche’ sono le uniche in grado di contrastare con le armi e con efficacia l’insorgere di enclavi terroristiche nelle regioni meridionali desertiche. Al punto che ieri, quando ancora non s’era spenta l’eco delle esplosioni davanti all’accasermamento di ‘Scudo della Libia’, un portavoce militare ha definito l’accaduto come ”una aggressione contro una forza di riserva dell’Esercito libico”.
Una ipotesi che si sta facendo strada per risolvere il problema e’ quello di procedere ad un arruolamento dei miliziani come singoli e non quindi delle unita’ paramilitari che hanno costituito. Ma tutto questo passa in second’ordine se si guarda non a quanto e’ accaduto, ma alle sue modalita’. Resta difficile pensare che, come si cerca di accreditare da Tripoli, l’attacco sia esclusivamente conseguenza estemporanea dell’astio contro i miliziani ed il potere illegale che essi esercitano. Anche perche’ gli ”attaccanti”, ufficialmente semplici cittadini, si sono presentati davanti al compound armati di tutto punto, anche di ”jelatina”, come vengono chiamati gli ordigni esplosivi da lancio artigianali, ma dagli effetti devastanti. Quindi un attacco militare in piega regola, che pero’ potrebbe avere altre spiegazioni, legate anche al disequilibrio che e’ stato determinato nella Libia dall’adozione della ”legge di isolamento”, adottata appunto sulla spinta delle milizie e che mira a fare piazza pulita di coloro che hanno in qualche modo avuto posti di responsabilita’ sotto Gheddafi. Una legge controversa, ma, alla fine, resa necessaria per ‘purificare’ le Istituzioni.
Ma in questo modo la Libia – con la gente poco disposta a concedere ai miliziani questa vittoria – perdera’ il nerbo della sua amministrazione, oltre che della sua classe politica. A partire dal presidente del parlamento, Mohamed Al-Megaryef, che, in virtu’ della rigidita’ della legge, paghera’ il fatto di essere stato, una trentina d’anni fa, diplomatico, ma solo per breve tempo, prima di andare a costituire una delle piu’ importanti forze d’opposizione al regime. Ma la legge colpira’ anche esponenti del mondo imprenditoriale che, grazie al regime, hanno fatto le loro fortune. Una decisione forse comprensibile, alla luce della quarantennale dittatura del Colonnello, ma che rischia di allargare il baratro economico tra la Libia ed il resto del Nord Africa. * Diego Minuti – ANSAmed