“Nelle case rimaste in piedi ci piove dentro, perché i tetti erano di paglia e sono stati tutti incendiati” dice alla MISNA padre Daniele Moschetti, superiore dei missionari comboniani in Sud Sudan. È appena tornato da Leer, una cittadina dello Stato di Unity conquistata dall’esercito e riconquistata dai ribelli, bombardata e assediata più volte tra febbraio e aprile.
“La nostra casa – dice padre Daniele – è stata messa a disposizione degli sfollati e delle organizzazioni umanitarie che sono tornate a fine maggio per riprendere il lavoro di assistenza”. I bisogni sono immensi. “Manca il cibo – denuncia il missionario – e quello che c’è ha prezzi insostenibili; poi servono tende di plastica per riparare la gente, 20.000 o 30.000 persone, perlopiù tornate dalla boscaglia o dalle paludi”.
Gran parte della popolazione della città era fuggita a marzo, subito prima dell’arrivo dei reparti dell’esercito e di milizie sue alleate originarie della regione del Darfur. Erano dovuti partire anche i missionari, che avevano vagato nelle paludi, profughi al fianco dei profughi. Ora Leer è sotto il controllo dei ribelli legati all’ex vice-presidente Riek Machar e, nel breve periodo, la situazione non dovrebbe cambiare.
In questo senso, l’inizio della stagione delle piogge è una garanzia assai più valida dell’accordo di cessate-il-fuoco sottoscritto dalle parti in lotta il 9 maggio in Etiopia. “Le operazioni militari – sottolinea padre Daniele – sono sospese non perché il presidente Salva Kiir o Machar si stiano impegnando nel negoziato ma perché avanzare nel fango è impossibile”.
Forse si tratta solo di una pausa nei combattimenti ma i comboniani stanno cominciando a tornare. Il primo è stato fratel Nicola Bortoli. Presto lo seguiranno due o tre padri. “Bisogna riprendere il lavoro pastorale e aiutare gli sfollati – dicono alla MISNA – sperando in un miracolo che cancelli i tanti segni negativi” – Misna