Il referendum per l’autodeterminazione si terrà, con o senza il sostegno dell’Unione Africana e dell’Onu: è la posizione espressa dalle Organizzazioni della società civile di Abyei, rete di riferimento per molte delle comunità Dinka che vivono in questa regione petrolifera contesa al confine tra i due Sudan.
In una lettera inviata al Consiglio per la pace e la sicurezza dell’Unione Africana, le Organizzazioni denunciano il mancato rispetto da parte dell’organismo continentale di un precedente impegno perché la consultazione si svolgesse in questo mese di ottobre. Nel testo si sostiene che, se la scadenza non dovesse essere rispettata, un’eventualità ormai pressoché certa, le comunità Dinka sono pronte a organizzare il referendum in modo autonomo.
Prevista dagli accordi che nel 2005 misero fine alla guerra civile ma già rinviata una prima volta nel 2011, la consultazione consentirebbe di decidere se Abyei e i suoi giacimenti debbano far parte del Sudan o del Sud Sudan. Finora non si è tenuta per i contrasti sull’identificazione degli aventi diritto: solo i residenti Dinka, come vorrebbe Juba, o anche i pastori arabi Misseriya, che si spostano nella regione solo alcuni mesi l’anno e che sono alleati di Khartoum.
Il nodo del referendum sta alimentando le tensioni tra i due Sudan. Fonti della MISNA riferiscono che le autorità di Juba stanno cercando di organizzare il ritorno ad Abyei di circa 20.000 profughi costretti a lasciare l’area in conseguenza di un’offensiva militare condotta da Khartoum nel maggio 2011, pochi mesi prima che il Sud Sudan divenisse indipendente. “Il governo – dicono le fonti – sta organizzando trasferimenti in camion e furgoni, ma le difficoltà finanziarie hanno fatto sì che finora le persone tornate ad Abyei in questo modo non siano più di mille”. Stando a questa versione, Juba mirerebbe da un lato a ottenere nuovi aiuti umanitari alle agenzie dell’Onu e da un altro a sostenere le sue storiche rivendicazioni su Abyei. – Misna