Cinque paesi dell’Africa orientale hanno espresso disponibilità a inviare truppe a protezione delle installazioni petrolifere del Sud Sudan: lo hanno reso noto i rappresentanti di un organismo regionale impegnato a favorire una soluzione del conflitto cominciato a Juba a dicembre.
Secondo Seyoum Mesfin, inviato speciale dell’Autorità intergovernativa per lo sviluppo (Igad), militari di Etiopia, Gibuti, Kenya, Rwanda e Burundi potranno contribuire a “una forza neutrale e deterrente che metterà in sicurezza le installazioni chiave, comprese quelle petrolifere”. Mesfin ha aggiunto che il dispiegamento del contingente dovrà essere concordato con l’Unione Africana e l’Onu, responsabile in Sud Sudan di una missione che sulla base di una risoluzione del Consiglio di sicurezza dovrebbe aumentare da 6800 a 12.000 effettivi.
Finora, il conflitto tra le forze fedeli al presidente Salva Kiir e i ribelli legati al suo ex vice Riek Machar ha provocato migliaia di vittime e costretto circa 900.000 a lasciare le proprie case. Allo stesso tempo, sta mettendo in ginocchio un’economia nazionale fondata sul petrolio. Ormai da settimane, nelle aree contese del nord e del nord-est del paese la produzione di greggio è bloccata o fortemente ridotta.
L’incapacità di Juba di schiacciare i ribelli sta alimentando anche tensioni tra il governo e Unmiss, la missione dell’Onu. I peacekeeper sono finiti nuovamente sotto accusa a seguito del sequestro da parte delle autorità sud-sudanesi di 12 camion che trasportavano armi e munizioni non segnalate. Una portavoce della missione, Ariane Quinter, ha parlato di “un errore di etichettatura”. Il ministro dell’Informazione, Michael Makuei Lueth, ha invece sostenuto che Unmiss è “inaffidabile”. Secondo fonti della MISNA a Juba, questa mattina nella capitale il caso è stato oggetto di slogan e striscioni durante un corteo di sostegno a Kiir. – Misna