Rimane precaria la situazione a Bossangoa dopo le violenze dello scorso fine settimana mentre a Bouca, 100 km ad est, incursioni di uomini armati sono continuate anche ieri. Il nuovo fronte che si è aperto nel nord-ovest del paese ha causato finora, in base ai bilanci ancora provvisori, una sessantina di morti, tra cui due lavoratori locali di una ong umanitaria Acted.
Secondo la ricostruzione dei fatti diffusa dalle autorità, responsabili dell’attacco ai villaggi della zona di Bossangoa (250 km a nord-ovest di Bangui) sono uomini armati vicini all’ex presidente François Bozizé, destituito lo scorso 24 marzo con un colpo di stato della coalizione ribelle Seleka, oggi rifugiato in Francia. “Hanno distrutto ponti e altre infrastrutture e commesso atti di vendetta ai danni della popolazione musulmana. Una sessantina di persone è stata uccisa in questi attacchi” ha detto il portavoce della presidenza, Guy-Simplice Kodegue. Bossangoa è il capoluogo della prefettura dell’Ouham, regione nativa di Bozizé. Ieri invece i disordini hanno raggiunto Bouca, dove gli scontri tra pro-Bozizé ed esponenti della Seleka hanno spinto alla fuga gli abitanti della zona. Kodegue ha confermato la morte di due operatori umanitari, di quattro combattenti Seleka e altri quattro civili mentre saccheggi e esazioni. sono stati comessi su vasta scala.
L’emittente locale Radio Ndeke Luka ha identificato il gruppo armato di scena nell’Ouham come “Anti Balaka”. Da Parigi, il portavoce dell’ex presidente, Lin Banoukepa, ha rivendicato l’operazione di “conquista” lanciata il 6 settembre nelle vicinanze del capoluogo regionale.
“In realtà le responsabilità sono ancora poco chiare e le informazioni diffuse sono tutte da verificare. E’ molto probabile che esponenti dell’esercito leale a Bozizé siano coinvolti ma abbiamo anche avuto conferma della presenza di ex-ribelli dell’Esercito popolare per la restaurazione della democrazia (Aprd) che hanno ripreso le armi” dice alla MISNA padre Aurelio Gazzera, carmelitano scalzo contattato a Bouar, circa 140 km da Bossangoa. L’Aprd di Jean Jacques Demafouth ha aderito negli anni scorsi al processo di disarmo e reinserimento e molti dei suoi miliziani sono stati accantonati e seguono un percorso di formazione. “Ad ogni modo si tratta di un incontro molto esplosivo e pericoloso che ci fa temere per il futuro del Centrafrica, paese dove la situazione è sempre più incerta e dove la violenza chiama altra violenza” prosegue il missionario, preoccupato anche per “l’aggravarsi delle tensioni” tra la comunità musulmana e quella cristiana. “I centrafricani sono stanchi delle false promesse che sentono da cinque mesi mentre sul terreno nulla è cambiato, anzi la vita sta peggiorando” dice ancora padre Aurelio, avvertendo che “purtroppo l’esasperazione sta spingendo gruppi molto diversi tra di loro ad allearsi e a prendere le armi con conseguenze imprevedibili”.
Finora non ha avuto alcun eco positivo l’appello alla pace in Centrafrica firmato a Roma da tutte le forze politiche del paese durante un incontro promosso dalla comunità di Sant’Egidio. Non sta cambiando lo scenario la forza africana dispiegata a Bangui (Misca), finora con 750 uomini ma a termine con 3000 militari, e nemmeno la presenza di truppe francesi. La ribellione Seleka è per lo più costituita da combattenti stranieri del Ciad e del Sudan mentre gli ex soldati dell’esercito di Bozizé minacciano la sicurezza nel confinante Camerun. La crisi in Centrafrica, che sta destabilizzando l’intera regione, non ha per ora suscitato l’attenzione della comunità internazionale. – Misna