Quasi contemporaneamente alle elezioni nello Zimbabwe si è tenuto il primo turno della amministrative (24 agosto) dove sono stati eletti i candidati dei rispettivi Imiphakatsi (feudi) in attesa del secondo turno delle elezioni previste per il 20 settembre che vedrà l’elezione dei 55 rappresentanti della Inkhundla (il Parlamento reale). Il re mantiene il privilegio di nominare gli altri 10 parlamentari e l’assoluto controllo del Senato (su 30 senatori 20 sono nominati per decreto reale e 10 dal Parlamento). Normalmente le nomine vengono offerte ai capi tradizionali rafforzando così il controllo dell’ultima monarchia africana sul sistema bicamerale del paese.
Durante le primarie del 24 agosto il Re Mswati III si è preoccupato che la maggioranza dei candidati da lui consigliati venissero eletti, tramite l’appoggio dei capi tradizionali e della Commissione Elettorale che è controllata dalla monarchia. I membri della commissione sono direttamente scelti dal Re per un mandato non rinnovabile di 12 mesi, mentre la direzione, sempre da King Msvati ha mandato indeterminato, che può essere interrotto solo dal licenziamento su volontà reale. L’attuale direzione è composta da capi tradizionali scelti tra i più leali: Gija Dlamini (direttore), Mzwandile Fakudze (vice direttore), Nksosingumenzi Dlamini e Ncumbi Maziya, commissari assieme a una donna, Gloria Mamba, simbolo dell’attenzione del Re per i diritti femminili e pari opportunità nel suo regno.
Un’attenzione puramente di facciata considerato che King Mswati III ha dato esplicite indicazioni ai capi tradizionali e alla Commissione Elettorale di ostacolare le elezioni di candidati donne durante il primo turno delle amministrative, appellandosi ai valori tradizionali della società patriarcale dello Swaziland. Mani Mavimbela è divenuta il simbolo della lotta per il miglioramento della condizione femminile nel paese dopo aver trascinato in tribunale la Commissione Elettorale a causa del rifiuto di inserirla nelle liste dei candidati perché alla registrazione si era presentata in jeans. Nonostante che il verdetto del tribunale confermerà la decisione della Commissione Elettorale, il gesto mantiene intatto gli alti valori simbolici e politici.
Queste elezioni caratterizzate dalla mancanza assoluta di trasparenza e libertà di scelta (i rappresentanti dei partiti possono partecipare solo a titolo personale) non è stata oggetto di interesse e condanne da parte dell’Occidente che ha preferito distogliere l’attenzione da queste elezioni farsa per spostarla sulla contestazione della vittoria del Presidente Robert Mugabe nel vicino Zimbabwe. La manovra di Stati Uniti e Unione Europea è stata invalidata dal verdetto dell’Unione Africana e della Comunità Economica dell’Africa del Sud (SADC) che hanno giudicato credibile l’esito elettorale.
Nonostante questo tacito e discreto appoggio occidentale che si concretizza nell’ignorare totalmente le vicende interne dell’ultima monarchia africana impedendo che gli abusi di potere e il regime dittatoriale di King Mswati III arrivi all’attenzione dei media occidentali, la monarchia sta subendo dal 1986 una crescente opposizione da parte degli intellettuali, studenti e dalle organizzazioni sindacali che esigono l’instaurazione della democrazia.
A seguito delle pesanti pressioni del blocco economico regionale: la SADC King Mswati è stato costretto a promulgare una nuova Costituzione di facciata e di approvare alcune aperture democratiche anche se i partiti di opposizione rimangono proibiti.
La tattica adottata dai principali sindacati, PUDEMO, la Federazione dei Sindacato dello Swaziland, la Federazione dei Lavoratori dello Swaziland e l’Associazione Nazionale degli Insegnanti è quella di promuovere un graduale cambiamento democratico erodendo progressivamente il potere monarchico. Una tattica che trova il consenso delle potenze regionali.
I sindacati rivendicano la creazione di una Commissione Elettorale indipendente, la riabilitazione dei partiti di opposizione, l’elezione del Primo Ministro affidata al Parlamento e non al Re, la rimozione del veto reale sull’approvazione delle leggi, la libera partecipazione delle donne alla vita politica nazionale e riforme sociali. I sindacati si reggono sul supporto della SADC e sulla forte dipendenza economica che il paese ha nei confronti dell’Angola, Mozambico e Sud Africa. Oltre due terzi delle entrate fiscali provengono dai diritti doganali delle importazioni SADC. Il blocco economico regionale sta progressivamente utilizzando questa dipendenza per imporre alla monarchia riforme tese ad instaurare una vera democrazia. A livello regionale la SADC sta aumentando le pressioni su King Mswati III affinché ratifichi il protocollo delle “Linee guida e Principi di Governanza Democratica” per riabilitare i partiti messi al bando.
La percentuale di cittadini che considera questa tattica progressiva troppo moderale ed inefficace sta rapidamente raccogliendo consensi tra la popolazione iniziando a criticare non solo la monarchia ma l’approccio adottato dai principali sindacati. Secondo questi cittadini uno dei principali obiettivi dovrebbe essere la libertà di stampa immediata. Attualmente tutti i media nazionali sono controllati politicamente e finanziariamente dal Re che li usa come organi di propaganda e per impedire la libera espressione dell’opposizione. Secondo i promotori della linea “dura” del movimento anti monarchico solo una rivoluzione popolare e pacifica è in grado di instaurare una vera democrazia nello Swaziland. L’approccio graduale corre il rischio, secondo la loro visione dell’attuale situazione politica, di mantenere intatta la monarchia ancora per qualche decennio. *Fulvio Beltrami – L’Indro