Non c’era probabilmente bisogno del rapimento-arresto del primo ministro Ali Zeidan per capire che la Libia fosse uno Stato ancora da costruire. Il rapimento ha però tolto ogni illusione e decretato che, almeno in questo momento, la Libia è un non-Stato semplicemente perché i potentati locali e i loro bracci armati sono i veri gestori della cosa pubblica. Una cosa pubblica divisa, in cui vari attori cercano di farsi spazio e in cui il governo non riesce a imporsi. Il rischio è di ritrovarsi, in piccolo, un altro Iraq, uno Stato incapace di difendere la propria sovranità. Le dichiarazioni improvvide del segretario di Stato americano John Kerry nei giorni scorsi sono state soltanto il pretesto, da una parte; dall’altra parte hanno dimostrato ancora una volta la lontananza culturale tra gli Stati Uniti e i paesi mediorientali ovvero l’incapacità da parte di Washington di comprendere come muoversi al di là della forza.
Dopo il rapimento in territorio libico del presunto terrorista Abu Anas al-Liby – accusato di responsabilità negli attentati contro le ambasciate statunitensi in Kenya e Tanzania nel 1998 e ora apparentemente trattenuto a bordo di una nave americana nel Mediterraneo – Kerry aveva sottolineato che dell’operazione era al corrente il governo di Tripoli. Una dichiarazione che aveva di fatto messo all’angolo lo stesso Zeidan.
La milizia che ieri ha detenuto per circa sei ore Zeidan ha fatto riferimento proprio alle dichiarazioni di Kerry. Le motivazioni vere sono probabilmente altre, devono essere trovate nei pesi e contrappesi di equilibri precari che riportano anche a logiche locali e interessi economici molto precisi.
Ma se l’operazione statunitense contro al-Liby è stata una scusa, Zeidan liberato con l’uso dalla forza da altri ex ribelli anti-Gheddafi, dovrà fare di più per spingere il paese avanti, staccandolo dal burrone in cui sembra sempre di più precipitare.
Ieri, dopo la liberazione, rivolgendosi al suo governo ha invitato a mantenere “calma e razionalità”, a evitare “ogni tipo di tensione perché ci sono molte questioni da affrontare”. Restano gli interrogativi aperti dalla facilità con cui un gruppo di uomini armati si è fatto strada nell’hotel Corinthia esibendo un mandato di arresto della Procura di stato che poi ha negato ogni coinvolgimento. Hotel considerato fino a ieri sicuro e dove alloggiano diversi membri del corpo diplomatico straniero in Libia. L’impressione è che l’illusione della Lbia “libera”, “al-hurra”, sia finita.* Maria Scaffidi – Atlasweb