11/12/13 – Centrafrica – “Fermare le vendette”, si aggrava la crisi umanitaria

di AFRICA

 

Un appello alla “calma” e a “non cadere nella tentazione di vendicarsi e di farsi giustizia da soli” è stato lanciato dal gruppo di lavoro della Società Civile, che insiste sull’urgenza di “disarmare non solo Seleka e anti Balaka, ma tutte le milizie presenti sul territorio nazionale”. In un comunicato stampa diffuso dall’emittente Radio Ndeke Luka, il coordinatore Gervais Lakosso ha sottolineato che “il popolo centrafricano ha vissuto sulla propria pelle la turpitudine dei nostri fratelli che hanno preso le armi e le machete, credendo di potersi imporre al popolo con la violenza”.

L’esortazione della società civile è giunta mentre a Bangui sono in corso complesse operazioni di disarmo, che riguardano elementi della Seleka, la ribellione autrice del colpo di stato dello scorso marzo e responsabile dell’insicurezza diffusa pur essendo stata ufficialmente sciolta alcuni mesi fa. Le operazioni, attuate da lunedì dai soldati e mezzi militari francesi dell’operazione Sangaris, hanno esasperato le tensioni degli ultimi mesi tra comunità che si stanno manifestando con vendette a catena tra cristiani e musulmani. I due principali protagonisti delle violenze sono uomini della Seleka – per lo più musulmani, originari dei vicini Ciad e Sudan e pesantemente armati – ed esponenti delle milizie anti Balaka (machete in lingua sango) – centrafricani di religione cristiana – che hanno anche distribuito armi ai civili. Secondo l’ultimo bilancio diffuso dalla Croce Rossa locale, più di 500 persone sono morte nelle violenze intercomunitarie della scorsa settimana nella capitale. Un dato che non include le decine di musulmani uccisi in rappresaglie, i cui corpi sono stati trasportati alla moschea Ali Babolo.

Per ora il fenomeno viene documentato solo a Bangui, ma la Società civile centrafricana lancia l’allarme su quanto starebbe già accadendo all’interno del paese, in zone remote e instabili, tra cui Bouar e Bossangoa, dove si temono “dinamiche infernali di rappresaglie” durante la ritirata della Seleka dalla capitale, in marcia verso i bastioni della ribellione a nord dai quali erano partiti nel dicembre 2012 per destituire l’allora presidente François Bozizé. I Seleka potrebbero vendicarsi sulle popolazioni per essere stati costretti a lasciare Bangui dopo l’intervento militare esterno e per la risposta forte già data dai miliziani anti Balaka, che hanno reagito con la forza ai soprusi inflitti per mesi dai ribelli dell’attuale presidente di transizione Michel Djotodia. Gli altri civili che potrebbero essere colpiti da rappresaglie sono i ciadiani, tra 10.000 e 15.000, residenti in Centrafrica. Oltre alla presenza di numerosi ciadiani nei ranghi di Seleka, anche le truppe di N’Djamena dispiegate a Bangui nell’ambito della missione dell’Africa centrale vengono accusate di violenze e violazioni dei diritti umani.

In visita ieri sera a Bangui, il presidente François Hollande ha riconosciuto che si tratta di una missione “pericolosa, ma necessaria per evitare una carneficine”. Inizialmente ‘Sangaris’ è stata presentata come un’operazione di sostegno alle truppe africane dispiegate nell’ambito della Missione internazionale di sostegno al Centrafrica (Misca) con mandato Onu, per un periodo di tempo “limitato” e per impedire una “crisi interreligiosa”. Di fatto, ora, lo stato-maggiore dell’esercito francese –  presente con 1600 soldati – e l’Eliseo hanno annunciato che l’obiettivo è quello di “disarmare tutti i gruppi attivi” per “riportare la stabilità in un paese in piena decomposizione e tenere elezioni libere”. Da Washington la presidenza statunitense ha sbloccato 60 milioni di dollari di aiuti militari a sostegno dell’operazione portata avanti da Francia, Unione Africana e altri paesi della regione. Secondo il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, che ha auspicato il dispiegamento di una missione di mantenimento della pace nei prossimi mesi, in Centrafrica servono almeno 9000 peacekeepers.

L’ultima ondata di violenza a Bangui e le operazioni di disarmo in corso hanno ulteriormente aggravata la crisi umanitaria in atto da mesi, causando altri 60.000 sfollati. Più di un milione di centrafricani necessità di cibo con urgenza mentre la situazione sanitaria della popolazione è sempre più critica, in particolare per quelle 460.000 persone in fuga. L’ong Medici senza frontiere (Msf) ha chiesto a tutte le parti coinvolte nel conflitto di “consentire ai feriti e ai malati di accedere in modo sicuro alle cure mediche di cui hanno bisogno e senza alcuna discriminazione”. – Misna

 

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