Un gruppo di ricercatori internazionali ha pubblicato sulla rivista di biomedicina ‘eLife’ uno studio da cui emerge come i luoghi dove maggiore sarebbe il rischio che si sviluppino epidemie di febbre emorragica Ebola, poiché maggiore è la possibilità che siano habitat naturale di specie animali portatrici del virus, siano in realtà molti di più di quanto si pensasse inizialmente.
Secondo Nick Golding, epidemiologo presso l’università britannica di Oxford e responsabile del gruppo di ricerca, il nuovo studio dovrebbe consentire di comprendere meglio i luoghi dove è possibile possa manifestarsi l’Ebola.
“Finora non esistevano molte ricerche su Ebola – ha detto Golding in un’intervista all’agenzia di stampa Reuters – C’è per esempio soltanto uno studio, in cui veniva presentata un’area-rischio molto limitata che non comprendeva l’area della Guinea da dove è partita l’epidemia in corso adesso in Africa occidentale”.
In base allo studio pubblicato da eLife e intitolato “Mapping the zoonotic niche of Ebola virus disease in Africa” (Mappatura della nicchia zoonotica della malattia del virus Ebola in Africa), sarebbero in tutto 22 i Paesi dell’Africa a rischio.
Oltre ai 7 Paesi dove fino ad oggi sono stati segnalato i focolai di Ebola (Repubblica democratica del Congo, Guinea, Uganda, Costa d’Avorio, Gabon, Repubblica del Congo e Sud Sudan), sarebbero in tutto altri 15 quelli da cui potrebbe potenzialmente svilupparsi: Nigeria, Camerun, Repubblica Centrafricana, Ghana, Liberia, Sierra Leone, Angola, Togo, Tanzania, Etiopia, Mozambico, Burundi, Guinea Equatoriale, Madagascar e Malawi. Nelle aree ritenute potenzialmente a rischio, abitano circa 22 milioni di persone.
In base agli studi realizzati finora, i ricercatori non hanno ancora identificato la riserva naturale del virus, ma ritengono molto probabile che la trasmissione all’uomo sia legata al consumo alimentare di pipistrelli, che sono considerati i migliori candidati tra le riserve virali individuate finora.sierraleoneebola
“Anche se la malattia può essere individuata in animali diffusi su un’area molto estesa, è molto più raro che si sviluppi un’epidemia – ha aggiunto David Pigott, anch’egli tra gli autori dello studio ed epidemiologo ad Oxford – Questa ricerca rappresenta un primo tentativo di studio per comprendere dov’è che simili epidemie potrebbero svilupparsi in futuro”.
“Per prepararci all’eventualità di future epidemie, ma anche per far fronte a quella in corso adesso – ha concluso Golding – dobbiamo comprendere in che modo i movimenti umani causino la diffusione dell’epidemia, una volta che il virus è stato trasmesso all’uomo”.
Il più recente bilancio dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS/WHO), aggiornato al 9 settembre, riferisce di almeno 2296 vittime confermate a causa del virus e 4293 casi di contagio. Per far fronte all’emergenza sanitaria, la Fondazione Bill e Melinda Gates ha promesso ieri lo stanziamento di 50 milioni di dollari che saranno devoluti alle attività dell’OMS, del Centro statunitense per il controllo delle malattie CDC e le altre organizzazioni internazionali impegnate nella lotta alla diffusione dell’epidemia. – Atlasweb