Sta creando malumore a Bamako l’offensiva lanciata lo scorso fine settimana dai soldati francesi dell’operazione Serval, nella quale 19 esponenti di un gruppo armato di matrice islamista sono rimasti uccisi a nord del capoluogo di Timbuctù. Fonti anonime dell’esercito maliano citate dalla stampa locale ed internazionale hanno affermato di “non essere stati informati dell’organizzazione né dello svolgimento dell’offensiva”, denunciando “un’operazione segreta, portata avanti alla nostra insaputa e senza il coinvolgimento delle nostre truppe”. L’ultima iniziativa militare della Francia è stata lanciata nell’ambito di quello che Parigi ha definito “la necessaria lotta al terrorismo” e la “caccia ad elementi di Al Qaida nel Maghreb islamico”. Tuttavia né il ministero della Difesa transalpino né lo stato-maggiore delle forze armate a Parigi si sono finora pronunciati in via ufficiale sull’operazione in corso con centinaia di elicotteri e veicoli militari.
La scorsa settimana il presidente Ibrahim Boubacar Keita ha invece denunciato “pressioni” della comunità internazionale che spingono Bamako “a negoziare con un gruppo armato”, in riferimento alla ribellione tuareg del Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad (Mnla), ancora in posizione di forza nel capoluogo di Kidal (nord-est). In realtà dietro il termine di “comunità internazionale” c’è una critica più o meno velata alla Francia, da tempo accusata dal governo e dai maliani di “avere una posizione ambigua nei confronti dell’Mnla”.
Il contingente dell’ex potenza coloniale, dispiegato in Mali dall’inizio del 2013, ha dato un contributo decisivo nell’offensiva di Bamako contro i gruppi armati tuareg e islamisti che per 18 mesi hanno occupato la vasta regione desertica dell’Azawad. Dallo scorso luglio i soldati di Serval collaborano con militari di altri paesi africani nell’ambito della missione di pace dell’Onu (Minusma). Nonostante la fine del conflitto armato, sulla carta dallo scorso agosto, la situazione in Mali rimane instabile e nell’ultimo periodo si sono moltiplicati attacchi, disordini e tensioni soprattutto con i tuareg a Kidal.
Ma a dividere il paese, che deve concludere la transizione politica dopo l’elezione di Keita quattro mesi fa, è la sorte del controverso generale Amadou Haya Sanogo, già capo della giunta militare autrice del colpo di stato del marzo 2012. Il mese scorso Sanogo è stato formalmente incriminato per omicidio, concorso in omicidio e rapimento nell’ambito di un’inchiesta sull’uccisione e la scomparsa di decine di “berretti rossi” (militari legati all’ex presidente Amadou Toumani Touré, ndr) dal campo militare di Kati. Nei prossimi giorni nuove accuse saranno formalizzate a suo carico dopo il ritrovamento di una fossa comune a una quindicina di chilometri da Bamako. Il giudice Yaya Karembe ha già spiccato una quarantina di mandati di cattura nei confronti di presunti colpevoli, tra cui agenti di polizia e “berretti verdi” legati a Sanogo.
Inoltre il ministro della Giustizia Mohamed Ali Bathily ha annunciato l’apertura di un procedimento giudiziario a carico di sei magistrati, agli arresti, con l’accusa di concussione e abuso di potere. Il presidente Keita ha fatto della lotta alla corruzione una delle priorità del suo mandato. In base all’ultimo rapporto governativo, ogni anno il Mali perde 50 miliardi di franchi cfa (più di 76 milioni di euro) a causa della corruzione e della gestione errata dei fondi pubblici.
Domenica il paese tornerà alle urne per il ballottaggio delle legislative. – Misna