“Dilaga in Libia la tragedia dei profughi sequestrati da miliziani delle varie fazioni in lotta e costretti come schiavi a trasportare in battaglia armi, munizioni e rifornimenti fin sulla linea del fuoco”. L’allarme viene da don Mussie Zerai, sacerdote di origine eritrea e presidente dell’Agenzia Habeshia, che da anni si occupa di profughi, migranti e vittime della tratta di essere umani che dall’Africa raggiungono le coste del Mediterraneo. Potenziali vittime di questo orrore sono, scrive in una nota, “tutti gli africani neri rimasti intrappolati nella guerra che sta travolgendo il paese: eritrei, somali, etiopi, sudanesi, maliani… Chiunque, insomma, arrivi da paesi del Corno d’Africa o dall’Africa sub sahariana”.
L’agenzia Habeshia sottolinea di avere già denunciato questi fatti alla comunità internazionale tra fine luglio e inizio agosto, chiedendo un intervento urgente dell’Onu, dell’Unione Europea e degli Stati Uniti, ma senza vedere risposta. Nei combattimenti in corso a Tripoli decine di giovani erano stati prelevati nelle loro case o bloccati per strada per essere usati come “ausiliari forzati” delle milizie: azioni che ora sarebbero diventate la norma. Una situazione, per i migranti, “ancora più grave di quella successiva alla rivoluzione contro Gheddafi, quando ogni africano ‘nero’ veniva considerato un mercenario al servizio del regime, perseguitato e imprigionato”.
Il caso più grave, scrive, è a Misurata, dove nella scuola di Kalelarim, in una zona chiamata Bilkaria, sono detenuti centinaia tra uomini, donne e bambini quasi tutti eritrei, sorpresi e bloccati in varie fasi nel deserto mentre cercavano di raggiungere Tripoli. Da un gruppo di circa 500 si è giunti a circa 700 prigionieri, “costretti a vivere in condizioni estreme” in un “autentico lager sotto il totale controllo dei miliziani, che ne hanno fatto una riserva inesauribile di portatori-schiavi di armi e munizioni”.
I primi ad essere prelevati sono stati 225 uomini, finiti in mezzo alla guerra. Alcuni sono tornati feriti, riferendo che diversi loro compagni sono rimasti uccisi. Altri 61 sono stati poi portati via dal campo e di loro non si hanno notizie.
“E’ l’ennesimo crimine che si sta commettendo sulla pelle di profughi e richiedenti asilo abbandonati da tutti”, sottolinea don Zerai. “Pesanti responsabilità per queste atrocità subite dai profughi del Corno d’Africa e dell’Africa sub sahariana – denuncia – gravano anche sui Paesi che hanno intrappolato migliaia e migliaia di giovani in una realtà come quella libica”, con la politica di affidare all’esterno la gestione dei movimenti di profughi e migranti, e di “spostare i confini europei sulla sponda meridionale del Mediterraneo” e anche più a sud”, facendo dei governi di vari Stati africani “i gendarmi per il controllo dell’emigrazione” e di quanti fuggono da “guerre, dittature, galera, persecuzioni, carestia e fame”.
L’agenzia Habeshia torna dunque a chiedere a Onu, Ue e Usa “di intervenire al più presto per organizzare una o più vie di fuga per i migranti bloccati in Libia. E ci rivolgiamo in particolare all’Italia, in virtù dei suoi rapporti diretti con Tripoli, sia perché è l’unico Stato europeo ad aver mantenuto aperta la propria ambasciata, sia per gli accordi bilaterali firmati ripetutamente con il governo libico” dai tempi di Gheddafi. La Libia, aggiunge, “pur non avendo mai firmato la convenzione di Ginevra del 1951 sulla tutela dei diritti dei migranti, ha aderito a quella analoga voluta dell’Unione Africana” ma mai applicata. “E’ arrivato il momento per la comunità internazionale – conclude – di pretenderne l’attuazione, coinvolgendo anche gli Stati africani. L’Italia, in questa fase di presidenza Ue, non può sottrarsi all’obbligo di tentare questa via, coinvolgendo l’intera Europa e aprendo contemporaneamente un corridoio umanitario per i gruppi di profughi più vulnerabili e bisognosi di protezione”. (ANSAmed).