Nella foto che ha fatto il giro del web ha il volto di una bambina, mentre sembra dormire tra lenzuola verdi da ospedale, una mano abbandonata su una coperta bianca e l’altra legata dalle manette alla sponda del letto. E’ l’ultima immagine rilanciata dai social media di una giovane donna coinvolta nelle violenze e nella repressione di questi ultimi tre anni della storia dell’Egitto post-rivoluzione.
Ma stavolta non è l’attivista del reggiseno blu trascinata e picchiata dalla polizia durante una manifestazione contro i militari che guidarono il primo periodo di transizione, né una vittima delle tante violenze di gruppo rimasta intrappolata da un muro di aggressori nella folla di piazza Tahrir.
E’ una diciannovenne arrestata tempo fa durante una manifestazione dei sostenitori dell’ex presidente Mohammed Morsi al Cairo, e ha appena dato alla luce, con un cesareo, una figlia che ha chiamato Horreya (Libertà). Ma è stata ricondotta in cella dopo due giorni, fa sapere la famiglia, senza godere di un periodo per rimettersi dal parto.
Una ragazza che stava dalla parte sbagliata, nell’Egitto del nuovo corso guidato, seppur con un governo di transizione civile, da un altro uomo forte dei militari – il generale e probabile presidente in pectore Abdel Fatah Al Sisi – dopo che questi ultimi hanno destituito il 3 luglio scorso Morsi, esponente dei Fratelli Musulmani eletto con un minimo scarto di voti alle presidenziali del 2012.
Intanto sostenitori di Morsi sono tornati in piazza, nell’ennesimo venerdì di protesta contro quella deposizione e per la difesa della “legittimità” del loro presidente, ora in carcere con vari procedimenti a suo carico. Anche se questo è stato un giorno speciale, perché coincide con i sei mesi esatti dai sanguinosi sgomberi dei sit-in dei pro-Morsi delle piazze Rabaa e Nahda, il 14 agosto scorso. Da allora, nel loro fronte si sono contati centinaia di morti e migliaia di arresti, inclusi quelli che hanno decapito della sua leadership i Fratelli Musulmani, da dicembre inseriti tra le organizzazioni terroristiche.
Ma la Fratellanza ha sempre esibito le sue donne, nei sit-in del Cairo e nelle manifestazioni di piazza, per dimostrare il carattere pacifico della sua protesta. Donne e anche bambini usati come scudi umani per difendere presidi armati, è stata invece l’accusa delle autorità e dei sostenitori della svolta del 3 luglio, dall’inizio di una massiccia campagna contro di loro.
Nei cortei di questo venerdì al Cairo, Alessandria e altre città del Paese – alcuni finiti in incidenti con la polizia, lanci di lacrimogeni e decine di arresti – si sono contati tre morti, due a Damietta in scontri tra opposte fazioni e uno a Minya: un ragazzino di 12 anni, quest’ultimo, che guardava dal balcone di casa e raggiunto da un proiettile vagante. Sparato dai dimostranti secondo la famiglia e la stampa governativa, dalla polizia secondo Giustizia e Libertà, partito della Fratellanza. Nel consueto rilancio di accuse reciproche di violenza che si ripete da sei mesi: mesi che hanno visto finire in carcere e sotto processo non solo gli islamisti ma anche alcuni attivisti di spicco del fronte laico-liberale, e il ripetersi di accuse di maltrattamenti e torture subite dagli arrestati. Le ultime, peraltro smentite dal ministero dell’Interno, solo giorni fa, da parte di 16 organizzazioni per i diritti umani. * Luciana Borsatti (ANSAmed).