15/10/2014 – Tunisia – Verso il voto, Radhia Nasraoui: Tortura? Oggi come sotto Ben Ali

di AFRICA

 

‘Ha visto le due signore lì all’ingresso? Qualche mese fa una delle due è venuta da me con i vestiti macchiati di sangue: era stata picchiata dai poliziotti perché voleva sapere il motivo per cui un suo caro era stato arrestato. E dal momento che ha presentato denuncia adesso si vendicano di lei, quindi viene a vederci. È coraggiosa, potrebbe anche lasciare cadere come fanno altri quando capiscono che possono avere problemi con la polizia’. Così racconta Radhia Nasraoui, presidente dell’Organizzazione contro la tortura in Tunisia (Octt), gruppo che ha cominciato a operare durante il regime di Zine el-Abidine Ben Ali e continua il suo lavoro anche dopo la rivoluzione. Avvocato, moglie del candidato alla presidenza Hamma Hammami, Radhia Nasraoui in Italia è nota soprattutto per avere difeso la Femen tunisina Amina Tyler, arrestata il 19 maggio del 2013 dopo avere provato a manifestare in favore dei diritti delle donne a Kairouan, mentre era in corso un raduno salafita. Inoltre è Radhia Nasraoui che sta dando assistenza legale a Meriem Ben Mohamed: la giovane fu violentata da due poliziotti la notte fra il 3 e il 4 settembre del 2012, quando si trovava sulla sua auto insieme al fidanzato, mentre il ragazzo fu portato da un terzo agente a un bancomat e derubato. Meriem ‘mi ha chiamata e mi ha detto: ‘Radhia Nasraoui ho voglia di parlarle perché ho subìto qualcosa di orribile e non voglio che altre donne vivano la stessa cosa’. L’ho trovata una cosa magnifica, anche se ancora non sapevo di cosa si trattasse’, racconta Radhia accogliendomi nella sede dell’organizzazione a Tunisi. Dopo la rivoluzione il lavoro del gruppo è cambiato: diversamente da quanto avveniva sotto Ben Ali, adesso può operare liberamente. Ma la tortura, spiega Radhia, resta all’ordine del giorno. Ed è proprio delle ultime settimane la notizia della morte di due giovani in stato di detenzione, Mohamed Ali Snoussi e Ali Ben Khemais Louati, che stando alle testimonianze raccolte anche dall’Octt sono deceduti a seguito di torture.

Perché la polizia tortura? Cosa fa di preciso l’associazione? A volte ho discusso con i poliziotti e loro dicono: ‘Come possiamo proteggere la gente se non torturiamo? Se torturiamo otteniamo informazioni rapidamente’. Per me non c’è niente che giustifichi la tortura. L’Organizzazione contro la tortura in Tunisia si occupa di tortura e maltrattamenti da parte delle forze dell’ordine: si può trattare di polizia, Guarde National o agenti della dogana, sia nei posti di blocco per strada, sia nelle prigioni. Torturano per ottenere confessioni quando svolgono un’inchiesta, perché per loro l’unico metodo di indagine è la tortura; oppure torturano per punire, per esempio quando qualcuno li ha denunciati. E poi c’è una pratica diffusa, che quando i detenuti sono trasferiti da un carcere all’altro vengono accolti con torture e botte. Perlopiù gli agenti non vengono puniti dalla giustizia: quando una persona denuncia si va avanti e avanti finché non si stanca e lascia perdere. Noi sosteniamo le vittime dal punto di vista legale, siamo noi che presentiamo causa per le vittime grazie a una rete di avvocati. Inoltre dal 2011, cioè dopo la rivoluzione, facciamo formazione per i giovani della nostra rete, organizziamo conferenze e dibattiti su questioni relative a torture e maltrattamenti, oltre che attività in collaborazione con altre organizzazioni, per esempio con la Ligue tunisienne des droits de l’homme (cioè la Lega tunisina dei diritti dell’uomo ndr.).

Di quanti casi vi occupate? Sono di più o di meno dopo la rivoluzione? Ora abbiamo più di 300 dossier, la maggior parte relativi a dopo la rivoluzione. Perché la maggior parte dopo la rivoluzione? Perché prima sotto Ben Ali la gente aveva paura delle rappresaglie quindi non osava denunciare. Adesso come prima i poliziotti si vendicano di chi li denuncia, ma molti giovani hanno superato la paura e osano venire a chiederci di sporgere denuncia per loro. Io ho l’impressione che a livello di quantità di persone torturate non sia cambiato molto.

Com’è cambiata la sua attivita’ da Ben Ali al post rivoluzione? Io combattevo contro la tortura anche sotto la presidenza di Habib Bourguiba (primo presidente della Repubblica tunisina dopo la lotta per l’indipendenza, dal 1957 al 1987 ndr.), ma in quanto avvocato singolo. L’organizzazione invece è nata sotto Ben Ali e si chiamava Associazione di lotta contro la tortura in Tunisia (Altt). Eravamo illegali, perché abbiamo provato a presentare più volte il dossier per la legalizzazione e ogni volta siamo stati respinti. Poi l’ultima volta siamo stati addirittura aggrediti. Era il 26 giugno del 2004, nel giorno della Giornata mondiale a sostegno delle vittime della tortura, eravamo andati a presentare il dossier ma quel giorno avevamo detto: ‘Non ce ne andiamo finché un funzionario non accetta di prendere il dossier’. Sarebbe bastato prenderlo e poi dire che non accettavano la richiesta di legalizzazione, ma non volevano. Allora 17 o 18 poliziotti mi hanno trascinata per le strade che si trovano vicino alla sede del governo fino a via Mohammed V. Avevo mani e piedi legati, io gridavo e dicevo: ‘Se mi ucciderete ci saranno centinaia di persone dopo di me’. ‘Noi uccidere le persone mai’, replicavano.

Sotto Ben Ali, nell’illegalità, la nostra azione era molto limitata: andavamo noi dalle vittime perché le vittime non potevano venire a vederci, quando sentivamo di qualcuno morto a seguito di atti di tortura facevamo delle piccole indagini, provavamo a risalire agli indirizzi e andavamo a vedere le famiglie, ma per anni non abbiamo avuto locali, niente insegne, niente di niente. Poi dopo la rivoluzione è cambiato tutto: abbiamo presentato un dossier, che è stato accettato e siamo stati legalizzati. Abbiamo cambiato il nome, che ora è appunto Organizzazione contro la tortura in Tunisia (Octt), abbiamo una sede e possiamo svolgere tutte le attività di cui raccontavo prima. A lavorare nel gruppo siamo una trentina, tra fondatori e membri.

Come si finanzia l’associazione? Abbiamo un partenariato con l’Organizzazione mondiale contro la tortura (Omct) grazie al quale abbiamo creato due centri, a Sidi Bou Said e al Kef per sostenere le vittime sul piano legale, medico e sociale. La maggior parte dei fondi, utilizzati per pagare gli avvocati, provengono dal gruppo danese Dignity, che non ha carattere politico. Altre fonti di finanziamento sono i premi: per esempio io ho ottenuto nel 2012 il premio Roland Berger e il denaro che ho ricevuto lo spendo per i diritti umani e per la lotta contro la tortura. E poi c’è un tunisino che ci ha lasciato 20mila dinari e un altro 10mila e altri ancora ci danno piccole somme, magari avvocati. Inoltre adesso abbiamo presentato richiesta di fondi alle Nazioni unite, che sono venute a verificare la nostra attività e ci daranno risposta a breve. L’Ue ci ha proposto dei finanziamenti ma noi abbiamo rifiutato perché non vogliamo ricevere denaro da parte dei governi, soprattutto stranieri.

Quali erano le categorie piu’ prese di mira sotto Ben Ali e quali oggi? Sotto Ben Ali soprattutto salafiti e prigionieri politici, perlopiù di sinistra. Alcuni dicono che le torture ai salafiti dopo Ben Ali sono finite, ma io non lo so. Magari possono essere diminuite. Oggi credo che siano presi maggiormente di mira i giovani, soprattutto uomini ma anche donne. Due anni fa a Sidi Bou Said ho visto una donna con lividi ovunque. Quando arrestano qualcuno a una manifestazione torturano anche se è un bambino.

Ci sono discriminazioni verso gli omosessuali? Certamente. Le relazioni fra omosessuali, donne o uomini, sono punite dal codice penale in Tunisia con pene detentive. In prigione gli omosessuali sono i più maltrattati: sono loro che puliscono i bagni. Ho avuto la testimonianza di un detenuto che era scioccato e mi ha detto che vengono trattati in modo disumano: dormono accanto ai bagni. Sotto Ben Ali erano i prigionieri politici e gli omosessuali che venivano trattati peggio di tutti. Adesso non so se è cambiato, ma mi stupirebbe se cambiasse. È difficile perché nella mentalità tunisina è la cosa più disonorevole.

Lei ha difeso dei salafiti torturati. Sì, sotto Ben Ali. Ho pianto vedendo le tracce delle torture subite, a volte non riuscivo a dormire. Avevo casi di gente a cui sono rimaste tracce orribili: uno che ha perso capacità sessuali, un altro che ha perso un occhio, un altro con bernoccoli ovunque. Quest’ultimo ha perso la memoria a causa delle percosse e un giorno non mi ha riconosciuta. Mi chiedeva: ‘Tu stai con loro o con me?’ E io gli ho risposto: ‘Sono il tuo avvocato, vengo sempre a trovarti con il dossier blu’. Ma lui aveva paura e allora ho avuto la prontezza, vedendo passare un guardiano, di cominciare a gridare: ‘Vedrete, non la passerete liscia, farò scoppiare uno scandalo, informerò tutti, ha bernoccoli dappertutto’. E quando ha visto che ero furiosa si è convinta. Io l’ho fatto appositamente perché capisse che ero dalla sua parte e contro chi lo ha aggredito. E così a poco a poco si è fidato. Gli ho detto: ‘E’ tua madre che mi ha incaricato di gestire il tuo dossier’. Ma lui diceva che sua madre lo aveva portato in carcere. E io provavo a spiegargli: ‘Ma no, al contrario, tua madre mi dice tutti i giorni di venire qui, va sui media, è magnifica ha parlato del tuo problema ad al-Jazeera e non smette mai di difenderti’. Il fratello era salafita, lui no, ma aveva pagato un biglietto d’aereo al fratello e per i 300 dollari che gli aveva dato si è ritrovato in prigione. Io l’ho difeso all’epoca perché non aveva commesso dei crimini, era solo un crimine di opinione. È stato veramente doloroso. Ogni volta parlavo con lo psichiatra e un giorno gli ho raccontato: ‘Mi ha fatto un sorriso’, e mi ha detto che andava bene. Il sorriso arrivò un giorno in cui, non ricordo di cosa parlassimo, e a un certo punto gli ho detto: ‘Non mi avevi detto che poi uscendo dalla prigione… non mi dirai che non mi paghi? Mi avevi promesso che mi avresti pagata’. E lì ha sorriso. Non mi ha pagata, ma questo non è grave.* Chiara Battaglia  – La Presse

 

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