16/09/2014 – Eritrea – L’esodo di chi non ha più nulla da perdere

di AFRICA

 

In fuga dal regime di Isaias Afewerki, ogni mese migliaia di giovani eritrei sfidano i cecchini per attraversare la frontiera con l’Etiopia. Il viaggio verso l’Europa comincia da qui. Dai campi profughi del Nord ai sobborghi di Addis Abeba, c’è chi si prepara ad attraversare deserto e Mediterraneo e chi aspetta da anni un biglietto per la Svizzera. swissinfo.ch è andata ad incontrarli.

Mebrathon ci ha dato appuntamento in un parco alla periferia della città. Il taxi si fa largo tra gli operai sui cantieri e i mendicanti che tendono la mano per racimolare qualche birr.

Con i suoi oltre tre milioni di abitanti, Addis Abeba è in preda alla febbre edilizia: i vecchi quartieri lasciano spazio ad alberghi, case residenziali e grandi magazzini. Nel cuore della capitale etiope, a 2’330 metri sopra il livello del mare, si racchiude l’ambizione di sviluppo di un intero paese, che per il 30 per cento vive ancora sotto la soglia della povertà.

Per i rifugiati eritrei, Addis è però soprattutto una città straniera, talvolta nemica, un luogo di passaggio e di attesa. Il telefono squilla: è Mebrathon. «Meglio incontrarci in un parcheggio. Qui c’è troppa gente, non mi sento sicuro».

Di origine eritrea, Mebrathon ha 39 anni e lo sguardo smarrito. Parla sottovoce. «Sono arrivato in Etiopia un anno e mezzo fa, ma dopodomani parto. Non ce la faccio più a stare con le mani in mano». Ha già preparato il suo zainetto: un paio di jeans e una t-shirt, una bibbia e qualche soldo. Un passatore lo porterà in Sudan, un altro in Libia. Poi aspetterà un barcone per attraversare il mare e raggiungere l’Italia. Ci vorranno mesi.

Un intero popolo ai lavori forzati

Stando all’Alto commissariato ONU per i rifugiati (HCR), ogni mese oltre 4mila eritrei varcano illegalmente il confine con l’Etiopia o col Sudan, in fuga dal regime totalitario di Isaias Afewerki. Il primo e unico presidente dell’Eritrea indipendente ha militarizzato la società, con la retorica di una situazione di “né guerra né pace” con l’Etiopia.

Tutti i cittadini, uomini e donne, devono servire nell’esercito o in un’impresa statale a durata indeterminata, al pari dei forzati. Fuggitivi e disertori sono considerati nemici del popolo: chi viene preso, paga con la prigione e a volte con la vita.

Mebrathon è stato arruolato nell’esercito a 16 anni. «All’inizio ero di guardia al confine con l’Etiopia. Avevamo l’ordine di sparare a chiunque cercasse di varcare il confine. Lavoravo giorno e notte per 450 naktfa, circa 30 dollari al mese». La prima volta che ha cercato di scappare aveva poco più di trent’anni. Ma i soldati l’hanno preso, messo in una cella sotterranea e torturato. Mebrathon si accende una sigaretta, i polsi ancora segnati dalle manette.

La seconda fuga lo porta ad Asmara, la sua città natale, dove trascorre tre anni nell’illegalità. «Non dormivo mai due notti nello stesso posto. Lavoravo come cameriere, con documenti falsi. Ma quando l’esercito ha iniziato a interrogare la mia famiglia e la città è stata completamente militarizzata, nascondermi era diventato troppo pericoloso e così ho cercato un passatore per andare in Etiopia». La traversata gli è costata 2’000 dollari pagati dalla sorella negli Stati Uniti, per diciotto ore di marcia tra posti di blocco e cecchini.

Rifugiati, oltre il confine etiope

Da Addis Abeba ci spostiamo a nord, nella regione storica del Tigrai. Siamo a pochi chilometri dalla linea di confine, che dal 1998 è teatro di conflitto tra l’Etiopia e l’Eritrea. In questa terra semiarida, dove il sole non lascia vie di scampo, i profughi trovano un primo, temporaneo rifugio. Una volta attraversato il confine vengono accompagnati dalle truppe etiopi fino al centro di registrazione di Endabaguna.

Con oltre 620mila rifugiati registrati, di cui 100mila eritrei, l’Etiopia porta avanti una politica migratoria delle «porte aperte», ci spiega Michael Owor, responsabile della sezione del Tigrai dell’HCR. «Nessuno viene mandato indietro». Una politica certo generosa, ma che si scontra con la macchina burocratica e poliziesca dello Stato etiope, con la mancanza di fondi e con le limitazioni imposte alle organizzazioni non governative, praticamente assenti nei campi del Nord.

Arriviamo a Endabaguna all’ora di pranzo. Appena entrati, siamo presi in custodia dalle autorità. Sono loro che gestiscono i campi: niente fotografie, niente interviste ai rifugiati. La nostra presenza non è particolarmente benvenuta. Diverse centinaia di eritrei sono seduti sotto una tettoia, in attesa della loro razione di cibo. Nel centro non ci sono vere e proprie strutture di accoglienza: qui i profughi dovrebbero fermarsi soltanto per un paio d’ore, il tempo di una prima audizione. Ma i campi sono pieni e a volte il centro di Endabaguna funge da posteggio per settimane.

Poco più in là, in uno stabile desolato, un ragazzino dorme per terra. Ha varcato il confine da solo, qualche giorno fa. Il suo non è un caso isolato: dall’inizio dell’anno, l’HCR ha registrato un forte aumento del numero di minorenni non accompagnati, in Etiopia come in Sudan. (…)

Box 1 – Le ragioni della fuga

Dalla sua indipendenza, nel 1993, l’Eritrea è guidata col pugno di ferro dall’ex leader rivoluzionario Isaias Afewerki, 59 anni, formatosi nella Cina maoista. Il suo regime è considerato tra i più repressivi e paranoici al mondo; il paese tra i dieci più poveri. Nel giugno 2014, il Consiglio ONU per i diritti umani ha deciso di aprire un’inchiesta sulla situazione in Eritrea, una misura adottata finora solo per la Siria e la Corea del Nord.

Box 2 – Prima tappa: l’Etiopia

La scelta dell’Etiopia o del Sudan come destinazione di fuga è spesso dettata dalla vicinanza geografica o culturale e da vincoli famigliari. Negli ultimi anni, tuttavia, la frontiera sudanese è diventata sempre più pericolosa: gli eritrei rischiano di essere rimpatriati con la forza o di essere sequestrati nei campi e venduti ai beduini. In molti optano dunque per l’Etiopia, anche se ciò comporta una tappa in più per chi è diretto in Europa.  (consigliamo la lettura di tutto l’articolo) – * Stefania Summermatter, di ritorno dall’Etiopia  – Swissinfo

 

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