“Purtroppo le reazioni della politica italiana sono il classico tentativo di lavarsi la coscienza nel nome dei cosiddetti campioni nazionali” dice alla MISNA Antonio Tricarico, esponente di Re:Common, ong che aveva da tempo espresso perplessità rispetto agli standard anti-corruzione di Eni in Nigeria.
Lo spunto è naturalmente il presunto pagamento di tangenti del 2011, per l’aggiudicazione del blocco petrolifero Opl 245 nel Delta del Niger. Una vicenda complessa e a dir poco opaca, che la settimana scorsa ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati di alcuni dei massimi dirigenti del colosso energetico italiano. Secondo Tricarico, l’inchiesta condotta dalla Procura di Milano “sembra confermare che in Nigeria c’è corruzione ma anche e soprattutto che il problema nasce a monte, qui”.
L’ipotesi degli inquirenti è che il pagamento al governo nigeriano di un miliardo e 92 milioni di dollari nasconda schemi tangentizi elaborati da manager di alto livello di Eni con l’obiettivo di arricchirsi personalmente, defraudando la società stessa e i suoi azionisti. Una vicenda emersa una prima volta nel maggio 2013, con le denunce espresse da rappresentanti di ong nigeriane e britanniche di fronte all’Assemblea degli azionisti di Eni. “In quell’occasione – ricorda Tricarico – insieme con gli inglesi di Global Witness avevamo posto 23 domande, che erano state tutte sostanzialmente rispedite al mittente”.
Secondo Re:Common, oggi la vicenda impone un ripensamento degli stessi criteri delle partecipazioni statali. “Che cosa significa – chiede Tricarico – la partecipazione del governo italiano a società di questo tipo, ovviamente con soldi dei contribuenti?” – Misna