Un uomo che ”ha sempre militato per cause giuste”. Così gli ex combattenti per l’indipendenza algerina hanno salutato Henri Alleg, morto oggi a Parigi all’età di 91, il primo giornalista che negli anni Cinquanta denunciò le torture perpetrate dai soldati francesi in Algeria. Nato nel 1921 a Londra, da genitori russo-polacchi, e diventato francese da ragazzino, quando la sua famiglia emigrò a Parigi, Alleg avrebbe dovuto essere un farmacista. O almeno, così sperava suo padre, scampato alla miseria e ai progrom e diventato sarto per guadagnarsi da vivere in Francia. Invece comincia a leggere, studiare, viaggiare per il Mediterraneo, si iscrive a Lettere alla Sorbona, comincia a interessarsi alla politica. E, soprattutto, sogna l’Algeria e Algeri, la città bianca di mille racconti e dalle mille contraddizioni.
Nel 1940, in piena guerra, decide di trasformare il sogno in realtà: s’imbarca a Marsiglia e si stabilisce dall’altro lato del Mediterraneo, vivendo di piccoli lavoretti precari, e tesse legami con la gente del luogo, i rifugiati che scappano dall’invasione tedesca, i militanti per l’indipendenza algerina.
Così fa la conoscenza del partito comunista, di cui diventa militante attivo, arrivando fino a dirigerne una delle principali voci, il quotidiano Alger Republicain, su cui scrive anche Albert Camus. Il giornale non piace all’autorità francesi, è spesso oggetto di denunce e sequestri, e dopo qualche anno verrà messo fuori legge, marcando così come sovversivi i suoi responsabili, costretti ad entrare in clandestinità. E’ il 1957, l’anno della battaglia di Algeri, delle retate violente e delle incarcerazioni senza processo. Una mattina di gennaio, Alleg viene sorpreso dalla polizia durante una visita a un amico comunista, arrestato e portato nella prigione di Barberousse. Qui, il giornalista sperimenta sulla sua pelle il trattamento che la polizia coloniale francese riserva agli indipendentisti: botte, insulti, interrogatori che diventano sedute di tortura a base di annegamenti simulati, bruciature di sigaretta. Il suo avvocato, Leo Matarasso, che è anche il legale del Fronte di liberazione nazionale algerino, lo sollecita a fare quello ”che gli altri, analfabeti, non possono fare”: scrivere, raccontare tutto, perché tutta la Francia sappia come le sue forze dell’ordine si comportano nelle colonie.
Alleg accetta la sfida, e meticolosamente, su pezzettini di carta minuscoli, stila un resoconto della sua detenzione.
Matarasso li raccoglie, portandoli di nascosto fuori dalla prigione e fino a Parigi, dove vengono copiati a macchina e consegnati a un editore. Nasce così ‘La Question’, il libro che cambierà per sempre la sua vita. Pubblicato nel febbraio 1958 dalle Editions du Minuit, verrà vietato e ritirato dalla vendita meno di un mese dopo. Nel frattempo, però, oltre sessantamila persone l’hanno letto, discusso, condiviso, indignandosi e cominciando a interrogarsi sul futuro delle colonie francesi nel Nordafrica. * Chiara Rancati -ANSAmed