Le armi sono tornate a farsi sentire a Bossangoa, località della regione nord-occidentale dell’Ouham, nuovamente teatro di pesanti scontri tra sostenitori dell’ex presidente destituito François Bozizé e soldati governativi: a darne conferma è la Radio Ndeke Luka. Secondo la ricostruzione dei fatti delle fonti locali, i primi colpi si sono sentiti verso le 5 del mattina (ora locale) nei quartieri più periferici per poi raggiungere la zona del mercato. Il riaccendersi delle tensioni ha causato una “nuova psicosi che ha spinto 19.000 persone a rifugiarsi presso il vescovado” ha detto padre Frédéric Tonfio. In tutto il numero di sfollati in città è passato da 18.000 a 30.000; la popolazione cristiana ha trovato accoglienza presso il vescovado e i musulmani presso una scuola di quartiere. “La gente arriva da ogni parte, non sappiamo più come fare. Li accogliamo ma la situazione umanitaria è caotica. Aspettiamo la sicurezza e vogliamo la pace” ha aggiunto il vicario di Bossangoa. Gli sfollati presso il vescovado sono ‘protetti’ dal contingente di soldati dei paesi dell’Africa centrale, la Fomac.
“Le autorità di Bangui ci devono aiutare. I bambini non hanno alcun riparo, sono esposti al freddo e alle punture di zanzare. Spesso vanno in ipoglicemia e per rianimarli gli facciamo bere acqua e zucchero. Viviamo in una situazione drammatica che rischia di peggiorare ancora” ha raccontato un’abitante alla Radio Ndeke Luka. Due settimane fa in attacchi lanciati dai pro-Bozizé contro una decina di villaggi a maggioranza musulmana tra le sessanta e le cento persone hanno perso la vita. Operatori umanitari e dell’Onu hanno lanciato l’allarme per “i crescenti omicidi intercomunitari” in una città “totalmente devastata”.
Un’altra testimonianza altrettanto drammatica è giunta alla MISNA da Bozoum (nord). “I giovani vengono arrestati con delle scuse assurde poi sono legati e torturati per giorni interi. Un ragazzo di 25 anni è diventato cieco e le sue braccia e mani sono paralizzate” ha scritto padre Aurelio Gazzera, missionario carmelitano e segretario esecutivo della Caritas diocesana di Bouar, circa 400 chilometri a nord di Bangui. Peggio ancora, per ottenerne la scarcerazione e la possibilità di far curare i giovani in ospedale, gli uomini della coalizione ribelle Seleka chiedono alla famiglie cospicui riscatti. Padre Gazzera ha cercato un confronto diretto con il ‘comandante’ di zona per vedersi rispondere che “i militari possono fare tutto quello che vogliono” e essere minacciato di morte dai combattenti che lo scorso 24 marzo hanno preso il potere a Bangui con un colpo di stato. Gli abusi ai danni dei cittadini, rifugiati nelle foreste e impossibilitati a spostarsi, sono diventati una pratica diffusa anche sulle strade che collegano Bozoum alla capitale, lungo la quale sono sorti posti di blocco.
Per risposta il presidente di transizione Michel Djotodia ha sciolto la Seleka venerdì scorso, chiedendo ai centrafricani di “non cedere al panico”e di “non dare credito a false voci che rischiano di compromettere il processo di pace in atto”. A quasi sei mesi dal colpo di stato è peggiorata la situazione umanitaria e della sicurezza dell’ex colonia francese, ma la crisi in atto è stata finora dimenticata dalla comunità internazionale, che non ha varato alcun provvedimento concreto. Un mini-vertice convocato per la prossima settimana a New York, a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, dovrebbe stabilire le modalità di un passaggio dalla forza regionale Fomac a una missione sotto comando dell’Unione Africana, la Misca, numericamente più ampia per ristabilire la sicurezza in un paese vasto quanto la Francia e il Belgio messi insieme. – Misna