E’ il più giovane stato dell’Onu e già si ritrova sull’orlo di una guerra civile. Dopo il tentato golpe sventato ieri la capitale, Juba, è stata teatro di violentissimi combattimenti tra fazioni della guardia militare. Un funzionario dell’Onu ha riferito che tra 400 e 500 cadaveri sono stati trasportati nell’ospedale cittadino di Juba, capitale del Sud Sudan, in seguito ai duri combattimenti tra fazioni militari rivali della guardia repubblicana. Altre 800 persone sono rimaste ferite. La città è ormai semideserta, con le strade polverose percorse solo da qualche pattuglia.
I soldati ribellatisi al governo non hanno aspettato che sorgesse l’alba per riprendere gli attacchi contro l’esercito regolare, violando il coprifuoco ordinato dal presidente Salva Kiir. La maggior parte delle vittime sono combattenti, ma ci sono anche civili. Ventimila persone si sono rifugiate nelle basi Onu della città e l’areoporto di Juba rimane chiuso, mentre è totalmente fuori uso la rete telefonica mobile.
Il segnale più forte della gravità della situazione arriva dalla decisione di Washington di sospendere tutte le attività dell’ambasciata in Sud Sudan e di evacuare il personale americano non essenziale. Il dipartimento di Stato ha anche chiesto ai cittadini statunitensi di lasciare il paese al più presto. Un appello simile è arrivato anche dalla Farnesina che con un avviso sul sito viaggiaresicuri.it ha sconsigliato “vivamente” di partire per il Sud Sudan. E a chi intenda comunque raggiungere il Paese “ha raccomandato la massima prudenza e di rimanere in stretto contatto con l’ambasciata italiana ad Addis Abeba, evitando gli spostamenti via terra al di fuori delle aree urbane”. Il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon ha chiesto al governo africano di garantire “la sicurezza di tutti i civili, indipendentemente dalla comunità a cui appartengono”.
L’ex ministro delle Finanze Kosti Manibe e altre nove persone sono state arrestate. Nessuna traccia invece di Riek Mashar, l’ex braccio destro del capo di Stato accusato di aver orchestrato il tentato colpo di stato. Al momento è ricercato assieme ad altri quattro. Mashar, dopo la destituzione da vicepresidente da parte di Kiir avvenuta il luglio scorso, aveva promesso che non sarebbe stata tollerata “la guida di un solo uomo, né tantomento una dittatura”. Questo episodio aveva sancito la rottura all’interno del Movimento di Liberazione del Popolo Sudanese (Splm), il partito al governo che era stato in passato protagonista della guerra d’indipendenza dal regime settentrionale di Khartoum. Sebbene Mashar avesse cambiato schieramento più volte durante la guerra civile, Il mese scorso ha ricevuto anche il sostegno della vedova di John Garang, uno dei più importanti eroi della lotta per la secessione, che ha accusato Kiir di comportarsi come un “dittatore”.
Gli scontri di questi giorni però non riguardano solo questioni interne all’Splm, ma si inseriscono anche nelle rivalità tribali mai assopitesi dopo la proclamazione d’indipendenza del 2011. Gli scontri sembrano infatti essere infuriati tra soldati appartenenti al clan Dinka di Riir contro quelli del Clan Nuer, fedeli al deposto Mashar. In seguito all’indipendenza molti gruppi ribelli sono rimasti attivi nel Paese africano, alimentando tensioni tribali per il controllo delle risorse petrolifere. – La Repubblica