Servono per comprare il pane, mandare i figli a scuola, pagare parte del viaggio di ritorno verso casa o le cure in ospedale. Sono i soldi, dice alla MISNA monsignor Sylvester Magro, vicario apostolico di Bengasi, con i quali la Chiesa aiuta i migranti e i lavoratori stranieri ostaggio dei combattimenti in Libia.
“Anche oggi sentiamo i boati dei bombardamenti – sottolinea monsignor Magro – ma continuiamo a garantire il servizio religioso in chiesa e ad aiutare in modo concreto le persone più bisognose”. Tra queste figurano circa 1350 infermiere filippine e indiane, che a differenza di centinaia di loro compagne partite a inizio mese sono rimaste nella speranza che la situazione possa gradualmente migliorare. Poi ci sono gli africani originari dei paesi a sud del Sahara, in particolare della Nigeria. “Erano arrivati prima che nel 2011 scoppiasse la guerra civile – racconta il vicario apostolico – e ora hanno bisogno di tutto perché sono rimasti senza lavoro”.
Ormai da mesi indiane, filippine e nigeriani sono sulla linea del fronte. L’ex generale Khalifa Haftar ha lanciato a maggio un’offensiva militare contro Ansar Al Sharia, una milizia che si batte per il “califfato” islamico, ma l’esito della battaglia resta incerto. Gli scontri sono ripresi ieri sera, per fortuna non nella zona dell’ospedale di Al Jalaa, dove a luglio l’intensificarsi degli scontri aveva reso impossibili i servizi di assistenza.
Secondo monsignor Magro, è difficile prevedere in che modo si evolverà la crisi politica e militare in Libia. “Le alleanze tra le milizie, le unità combattenti e gli schieramenti politici mutano di continuo – sottolinea il vicario apostolico – e la lettura degli avvenimenti è molto complessa”.
Il riferimento è anche alle notizie giunte da ieri da Tripoli, la capitale situata circa 600 chilometri a ovest di Bengasi. Un portavoce di Haftar ha rivendicato i bombardamenti aerei contro le postazioni delle milizie originarie della città Misurata, in lotta con unità provenienti da Zintan per il controllo dell’aeroporto della capitale. Mentre da Tobruk, la città vicina al confine con l’Egitto dove si riunisce il parlamento eletto a maggio, i deputati chiedono un cessate-il-fuoco e un non meglio specificato intervento internazionale teso a “proteggere i civili”. – Misna