I corpi senza vita di sette dei nove operatori sanitari e dirigenti amministrativi scomparsi da martedì scorso sono stati rinvenuti in una fossa comune nel remoto villaggio di Wamé (o Womey), nei pressi del capoluogo di N’zerekore (sud-est): la macabra scoperta è stata confermata dal ministro della Communicazione Alhoussein Makanera Kake con un intervento alle principali emittenti radiotelevisive guineane.
Condanne e sdegno sono state le prime reazioni alla brutale uccisione dei membri di una delegazione – ora in due mancano all’appello – dispiegata a Wamé per una campagna di sensibilizzazione e lotta al virus dell’Ebola, che nel paese ha già causato centinaia di vittime. Tra i morti ci sono tre medici, di cui il vice direttore dell’ospedale di N’zerekore, il direttore regionale della sanità e un pastore che gestiva un centro di cura. Uccisi il vice prefetto di N’zerekore assieme a giornalisti e tecnici della radio locale. Tutti erano cittadini guineani.
Il primo ministro guineano Mohamed Said Fofana ha definito l’uccisione del gruppo di “atto di una crudeltà ignobile e intollerabile” e ha promesso “sanzioni esemplari per i responsabili”. Aperta un’inchiesta che ha già portato all’arresto di almeno sei sospetti a Wamé, dov’è stato rafforzato il dispositivo di sicurezza. Fonti locali hanno riferito che dall’attacco contro la delegazione sanitaria il villaggio si è in parte svuotato.
A Wamé, come in altre zone rurali della provincia Forestale, parte della popolazione si rifiuta di riconoscere l’esistenza del virus e accusa gli operatori sanitari di contagiare volontariamente la popolazione. In questo caso il gruppo, attaccato a colpi di pietre, è stato accusato di “fare propaganda per i bianchi” e di voler contagiare i locali oltre che polverizzare il villaggio con prodotti pericolosi a base di cloro.
Per il ministro Kake, “i residenti sono stati manipolati da alcune persone mosse da cattive intenzioni”. Secondo l’antropologo senegalese Sylvain Faye, che collabora con l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), in realtà “l’ostilità nei confronti degli operatori umanitari e degli agenti sanitari porta anche a galla tensioni socio-politiche più profondi”.
In base all’ultimo bilancio diffuso ieri dall’Oms, 700 nuovi casi sono stati registrati nel corso dell’ultima settimana con un numero totale di contagi superiore a 5300 e più di 2600 morti dallo scorso febbraio. Oltre alla Guinea, primo focolaio dell’epidemia di febbre emorragica, Liberia e Sierra Leone sono gli altri paesi più colpiti. – Misna