La firma la settimana scorsa da parte del presidente nigeriano Goodluck Jonathan di una nuova legge contro l’omosessualità ha dato il via ad un pesante giro di vite contro sospetti membri delle comunità LGBT in tutto il paese. In base alla normativa, che era stata approvata all’unanimità a metà dicembre da un comitato parlamentare e denominata “Same Sex Marriage (Prohibition) Act”, chiunque venga ritenuto colpevole di aver contratto un matrimonio o un’unione omosessuale può essere punito fino ad un massimo di 14 anni di carcere, mentre la pena prevista per chi osservi, aiuti o in qualsiasi modo sostenga tali comportamenti è fissata ad un massimo di 10 anni di carcere.
Nonostante il dibattito sulla nuova legge nel Parlamento di Abuja fosse in corso già da più di un anno e mezzo, i principali media nazionali ed internazionali non vi avevano finora dedicato particolare attenzione, come invece era accaduto per quanto riguarda una simile normativa anti-gay in discussione in Uganda, che sempre la settimana scorsa Yoweri Museveni ha invece rinviato ai parlamentari di Kampala perché fosse riesaminata dopo le accese critiche ricevute da numerose organizzazioni internazionali per i diritti civili e da diversi paesi della comunità occidentale. Tuttavia la firma di Jonathan e l’entrata in vigore della nuova legge in Nigeria, hanno reso l’argomento d’attualità spingendo i media internazionali a dedicarvisi, mentre alcuni paesi come per esempio la Gran Bretagna è arrivata fino a minacciare di ridurre l’ammontare dei suoi contributi per la cooperazione allo sviluppo se non fossero state apportate modifiche alla normativa. Anche se tali minacce sono poi state smentite, le critiche alla legge da parte di gran parte della comunità internazionale restano ferme e decise.
In realtà diversi gruppi di attivisti contro le discriminazioni sessuali, in particolare quelli composti dalla diaspora nigeriana in Europa e negli Stati Uniti, avevano già cercato di sollevare l’attenzione sulla materia, anche se con poco successo. A livello legislativo, infatti, il timore è che la nuova legge rischi di trasformarsi in una caccia alle streghe, spingendo i cittadini a denunciare chiunque sia anche solo lontanamente sospettato di essere omosessuale, contraddicendo in questo modo quegli articoli della Costituzione nigeriana che proclamano l’eguaglianza di tutti di fronte alla legge.
La Nigeria non è il primo paese in Africa a introdurre una legislazione che punisce con il carcere l’omosessualità; anzi, sui 54 Stati che compongono il continente sono ben 38 quelli in cui è prevista una condanna penale per chiunque manifesti tendenze omosessuali. Per essere precisi, anche in Nigeria già prima di questa nuova legge, l’omosessualità costituiva un reato punito in modo diverso a seconda della regione in cui veniva commesso e una proposta di legge federale per armonizzare le diverse normative locali era stata già presentata al Parlamento di Abuja nel 2006, senza però essere stata passata definitivamente in legge.
In quell’occasione, la società statunitense di sondaggi Pew Research aveva pubblicato i risultati di una ricerca dalla quale emergeva come il 97% dei cittadini nigeriani ritenesse socialmente inaccettabile un comportamento come quello dell’omosessualità. Riproponendo la scorsa primavera la stessa domanda, i ricercatori hanno ricevuto la stessa risposta dal 98% degli intervistati. Al di là del risultato aggregato, quel che è interessante è notare le risposte divise per età. Se nel 2007 il 5% di chi rientrava nella fascia di popolazione più giovane (tra i 18 e i 25 anni) aveva risposto di vedere l’omosessualità come un comportamento accettabile, sei anni più tardi tutti gli appartenenti a questo gruppo demografico hanno invece risposto bollandolo come negativo.
Leggendo i quotidiani nigeriani, emerge infatti come l’entrata in vigore della legge che vieta l’omosessualità sia appoggiata da gran parte, se non da tutta la popolazione, che anzi interpreta le critiche della comunità internazionale come un’interferenza indebita nelle questioni interne del proprio paese. Oltre gli attestati di sostegno giunti a Jonathan da tutte le più importanti associazioni religiose nazionali – dalla Conferenza episcopale cattolica nigeriana passando per l’Associazione cristiana nigeriana (CAN), che riunisce le diverse chiese cristiane, fino ad arrivare alla comunità di Jama’atu Nasril Islam presieduta dalla più importante figura religiosa musulmana della Nigeria, il sultano di Sokoto – quello a cui si assiste è infatti quasi una sorta di rinascita dell’orgoglio nazionale intorno alla figura del presidente.
“Le critiche del Sottosegretario di Stato statunitense John Kerry secondo cui la nuova legge restringe i diritti civili e sarebbe quindi anti-democratica sono piuttosto difficili da comprendere – si legge in un editoriale pubblicato da uno dei più diffusi giornali nigeriani, il ‘Vanguard’ – Proprio gli Stati Uniti, infatti, abbiamo preso come modello per costruire le nostre istituzioni federali: se una legge viene discussa e approvata in Parlamento e poi inviata al presidente per essere firmata, come si può sostenere che non sia democratica se non mettendo in discussione l’intero sistema che questa stessa legge ha prodotto?”.
In un commento pubblicato sul quotidiano ‘The Independent’ e sul portale internet ‘ThinkAfricaPress’, il ricercatore britannico James Schneider scrive come l’entrata in vigore della nuova legge sia stata una mossa politica del presidente Jonathan per spostare l’attenzione domestica dal fallimento della sua amministrazione nel raggiungere gli obiettivi promessi durante la campagna elettorale del 2011, una Nigeria libera dalla corruzione e dalle tensioni inter-etniche ed inter-confessionali. Tre anni dopo e ad un anno di distanza dalle prossime elezioni presidenziali, la situazione è ben lontana da questo traguardo: nel Nord-est il gruppo islamico radicale di Boko Haram continua a seminare il terrore, nella regione meridionale del Delta del Niger i problemi di inquinamento non sono lontanamente affrontati e nessuna soluzione è stata ancora individuata per una più equa distribuzione dei profitti ottenuti dall’estrazione del petrolio mentre il partito al governo dal 1999 – il Peoples Democratic Party (PDP) – si trova a far fronte ad un’inedita crisi che, dopo la defezione di numerosi parlamentari e governatori, l’ha visto per la prima volta nella sua storia perdere la maggioranza relativa alla Camera dei Rappresentanti ed al Senato.
“Sembra che in una situazione così debole, Jonathan stia scommettendo il tutto per tutto in una misura populista che gli dia il sostegno domestico di cui ha bisogno – scrive Schneider – Ed in una società socialmente conservativa, una posizione anti-gay potrebbe rivelarsi una distrazione sufficiente per allentare la pressione”.
Una lettura così cinica che interpreta la nuova legge nigeriana contro l’omosessualità esclusivamente alla luce di un calcolo politico a breve termine rischia però di rivelarsi troppo limitata, con la possibilità di non riuscire a comprendere appieno tutto il contesto e rafforzare inoltre quella interpretazione che gran parte della popolazione nigeriana sta dando alle critiche internazionali su tale normativa, sostenendo che queste ultime altro non sarebbero se non l’ennesimo tentativo da parte dell’Occidente di imporre la propria volontà e i propri valori sulle società africane. * Michele Vollaro – Atlasweb