Il 2018 potrebbe essere un anno molto difficile per le economie dell’Africa subsahariana. A minare la crescita è il debito estero contratto da molti Paesi a partire dal 2008. Con lo scoppio della crisi finanziaria, i prestiti ai governi delle nazioni a basso e medio reddito sono più che quadruplicati da 57 miliardi di dollari nel 2007 a 260 miliardi nel 2016, favoriti anche dai bassi tassi di interesse. Finché la recessione ha mantenuto questi tassi a livelli minimi, l’impatto sulle economie è stato modesto. Con la ripresa dell’economia mondiale e l’incremento dei saggi di interesse, i nodi potrebbero venire al pettine e gravare in modo pesante su assetti economici fragili.
Una ricerca della Jubilee Debt Campaign, con sede nel Regno Unito, ha mostrato che il pagamento dei debiti da parte dei Ppaesi più poveri nel 2016 è aumentato del 50% rispetto ai due anni precedenti e ha già raggiunto il livello più alto dal 2005. La storia sembra ripetersi. La crisi del debito degli anni Ottanta, Novanta e inizio Duemila è stata innescata da un calo del prezzo delle materie prime e dall’aumento dei tassi di interesse statunitensi. Fattori che si sono replicati a partire dal 2014 quando l’indice dei prezzi delle materie prime del Fmi è sceso di oltre il 40% e il dollaro Usa è aumentato del 15%.
Secondo quanto riportato dal sito www.theeastafrican.co.ke, in Africa orientale, il peso del debito è ancora ridotto in Kenya (32% del Pil), ‘Uganda (57%) e Tanzania (63%). Ma il Mozambico che ha un rapporto debito/Pil del 299% inizia a risentirne fortemente.
Questi debiti sono dovuti per il 38% a prestatori privati, il 36% a istituzioni multilaterali (principalmente Banca Mondiale, Fmi e le banche di sviluppo regionale) e il 26% ad altri governi.