Nell’ultimo semestre la Tanzania, Paese generalmente lontano dai riflettori della cronaca internazionale, ha dato prova, attraverso la sua azione politica, diplomatica e militare, dell’importante ruolo che ricopre nel quadro della stabilizzazione del contesto regionale dell’Africa Orientale.
Il recente potenziamento dell’impegno militare tanzaniano nella lotta alle milizie dell’M23 nella Repubblica Democratica del Congo (RDC) nell’ambito della missione delle Nazioni Unite MONUSCO, nonché la ridefinizione delle alleanze e degli equilibri in seno alla EAC (East African Community) rappresentano i due principali ambiti nei quali la Tanzania sembra acquisire una posizione sempre più rilevante a livello regionale. Questo attivismo politico ha ottenuto vasta eco sul piano diplomatico, come dimostrano le recenti visite ufficiali in Tanzania del Presidente cinese Xi Jinping, nel marzo del 2013, e del Presidente americano Barack Obama nel giugno dello stesso anno.
La volontà tanzaniana di affacciarsi con maggiore consapevolezza sulla scena politica africana è stata resa possibile dalla stabilità politica interna raggiunta negli ultimi anni. Nella fase post-coloniale, la Tanzania non ha assistito a scontri di natura etnica o politica paragonabili a quelli che hanno caratterizzato lo scenario dei suoi vicini (Mozambico, Kenya, Uganda). Anche le fratture economiche e sociali tra centro e periferia e, soprattutto, tra il Tanganica (la parte continentale) e l’isola di Zanzibar non sono mai sfociate in un vero e proprio conflitto. Sebbene le tendenze indipendentiste di Zanzibar (oggi dotata di un Presidente e di un Parlamento propri) abbiano sempre caratterizzato la scena politica della Tanzania, esse non si sono mai manifestate in maniera violenta o destabilizzante nei confronti del governo centrale in maniera tale da mettere in pericolo l’integrità del Paese.
Il sistema partitico tanzaniano rispecchia la presenza di tensioni di natura autonomista e, al contempo, l’assenza di forti contrapposizioni etniche. Dal 1965 al 1992, la Tanzania ha avuto un sistema a partito unico dominato dalla TANU (Tanganyika African National Union), diventato CCM (Chama Cha Mapinduzi – Partito della rivoluzione) nel 1977, dopo l’unione con il Partito unico dell’arcipelago di Zanzibar. Nel corso degli anni il partito, guidato da Julius Nyerere, si è fatto promotore di un modello di sviluppo economico e sociale tale da svincolare il Paese dalla dipendenza dagli aiuti stranieri e in grado di contribuire allo sviluppo di un sentimento d’identità nazionale divenuto, col tempo, più forte dell’appartenenza etnica. È importante ricordare che la Tanzania è caratterizzata da una forte eterogeneità dal punto di vista etnico. Si possono individuare circa 120 diversi gruppi, tra i quali i Sukuma, gli Haya, i Nyakusa, i Nyamwezi e i Chaga. La maggior parte dei tanzaniani è di ceppo bantu, mentre di origine nilotica sono altri gruppi tra i quali i nomadi Masai e Luo, concentrati prevalentemente lungo il confine con il Kenya. L’assenza di rivalità etniche rilevanti e la tendenza dei cittadini tanzaniani a considerarsi prioritariamente tali rispetto all’appartenenza tribale rappresentano dunque, almeno in parte, il risultato di precise scelte governative. Stessa considerazione vale in relazione al tema del rapporto tra il potere politico e le istituzioni militari. L’esercito nazionale, il Tanzania People Defence Force (TPDF), è stato sempre considerato come un organo dello Stato posto sotto stretto controllo del potere politico e non ha mai manifestato pericolose velleità di autoritarismo militare. (clicca sul link per leggere il resto) * Stefania Azzolina – Ce.S.I.