La rotta delle armi parte dalla Libia e attraversa Ciad e Camerun, raggiungendo la Nigeria. Con la mediazione (e la benedizione) di N’Djamena, che dispone di contatti ad Abuja ma anche tra i comandanti di Boko Haram. E sarebbe interessata a utilizzare gli islamisti per destabilizzare la Nigeria.
La tesi, che alcuni osservatori legano alla partita del greggio nel bacino del Lago Ciad, è sostenuta anche da fonti della MISNA in Camerun. Al corrente, in particolare, di alcuni sequestri di armi non destinate ai gruppi di banditi che pure pullulano nella regione dell’Estremo Nord. “Una delle operazioni più significative – riferiscono le fonti – è stata condotta nella cittadina di Kousséri alla fine di settembre e ha permesso il sequestro di armi pesanti, tra le quali bazooka e missili”. L’episodio è stato ricostruito dai quotidiani del Camerun. Secondo i quali i soldati di Yaoundé hanno messo le mani su un carico di mitragliatrici, kalashnikov, pistole automatiche, missili e lanciarazzi e molte migliaia di munizioni di piccolo, medio e grande calibro. Più fonti riferiscono che le armi erano giunte dalla Libia, dove milizie islamiste in rapporti di alleanza variabili con Boko Haram controllano sia Tripoli che Bengasi, le principali città del paese. E dove, verso sud, i controlli delle autorità riconosciute a livello internazionale sono pressoché inesistenti.
Un ruolo in questo traffico, dicono però alla MISNA, lo avrebbe anche N’Djamena: “Ufficialmente il presidente Idriss Déby è sempre stato un accanito oppositore di Boko Haram ma che abbia avuto contatti segreti con gli islamisti, magari attraverso capi tradizionali, non è da escludere”.
Di una centralità di Déby è stato scritto in relazione all’annuncio, venerdì scorso, di un accordo di tregua tra Boko Haram e l’esercito della Nigeria. Secondo il comandante in capo delle Forze armate di Abuja, il maresciallo Alex Badeh, l’intesa sarebbe stata raggiunta a N’Djamena. A confermare una mediazione è stato lo stesso governo ciadiano, che ha riferito di incontri ospitati il 14 e il 30 settembre. Secondo Badeh, l’intesa prevedrebbe anche la liberazione delle oltre 200 liceali rapite ad aprile nella cittadina nigeriana di Chibok.
Di certo, finora, c’è solo il rilascio questo mese di 27 ostaggi detenuti dagli islamisti nel nord del Camerun. Secondo il portale di informazione Sahara Reporters, la liberazione sarebbe avvenuta grazie a una mediazione di Déby. E avrebbe previsto, come contropartita, consegna di armi, liberazione di islamisti in carcere e almeno 400.000 dollari di riscatto. Risorse preziose perché Boko Haram possa continuare a operare. Magari ampliando il “califfato” proclamato ad agosto nel nord-est della Nigeria, sulle sponde occidentali del Lago Ciad.
Proprio a questo bacino, e in particolare alle riserve energetiche che custodisce, osservatori nigeriani hanno collegato l’attivismo di N’Djamena. Secondo Peregrino Brimah, autore di un’analisi pubblicata dal sito News24, “la crisi di Boko Haram ha garantito al governo di Déby accesso incondizionato al petrolio custodito nel sottosuolo nigeriano attraverso un sistema di perforazione 3D a partire dal territorio del Ciad”.
Dati a disposizione del pubblico indicano che, tra il 2011 e il 2013, Abuja ha investito 240 milioni di dollari per prospezioni anche nel bacino del Lago. I progetti, però, sono stati bloccati dagli attentati e dalle stragi di Boko Haram. E la maggior parte del greggio estratto nel bacino del Lago, con riserve stimate di circa due miliardi di barili, raggiunge i mercati attraverso l’oleodotto Ciad-Camerun. Lasciando del tutto a secco la Nigeria, scrive Brimah. Che annota: a oggi il greggio del Lago Ciad è esportato verso il porto di Le Havre, in Francia. – Misna