Di ebola si muore ma si può anche guarire nonostante non esista ancora un vaccino vero e proprio. Ieri, i due medici statunitensi che avevano contratto il virus in Liberia e che tre settimane fa erano stati trasferiti negli Stati Uniti hanno potuto lasciare l’ospedale in cui erano stati ricoverati e uno di loro ha voluto incontrare i giornalisti.
“Questo è un giorno miracoloso” ha detto il dottor Kent Brantly, ringraziando quanti gli sono stati vicini in queste settimane. “Sono entusiasta di essere in vita – ha detto – di stare bene e di essermi riunito alla mia famiglia”. Brantly ha raccontato che, come medico missionario di Samaritan’s Purse, si era recato in Liberia lo scorso ottobre insieme alla sua famiglia, quando ancora non si parlava di ebola. In seguito la sua famiglia era tornata indietro, mentre lui aveva continuato a lavorare in Liberia trattando i malati ebola fino a quando lo scorso 23 luglio aveva contratto il virus: da quel momento è rimasto in un letto per nove giorni, peggiorando progressivamente fino a quando, il 1° agosto, era stato portato ad Atlanta, negli Stati Uniti.
Meno fortunati di Brantly sono in questi giorni i liberiani costretti in quarantena o, come nel caso di West Point, quartiere baraccopoli di Monrovia, sono costretti a un coprifuoco notturno che li priva della libertà, siano malati o meno. Una situazione che ha portato a scontri con le forze di sicurezza.
Il coprifuoco è stato deciso due giorni fa dalla presidente Ellen Johnson-Sirleaf per evitare la diffusione dell’epidemia di febbre emorragica in altre aree cittadine.
In base ai dati più recenti diffusi dall’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms), la Liberia è il paese dove l’epidemia appare maggiormente fuori controllo, con un bilancio complessivo di 576 morti e 972 casi confermati di contagio. Soltanto tra il 17 e il 18 agosto, in Liberia sono stati registrati 95 vittime e 126 casi di contagio su un totale di 106 nuove vittime e 221 nuovi casi di contagio.
Sempre in Liberia, dai media locali si apprende che il governo ha deciso di dispiegare l’esercito sul fiume Cestor lungo il confine tra la contea di Nimba e quella di Gran Gedeh per evitare la diffusione dell’epidemia nelle regioni sud-orientali del paese, dove finora non sono stati ancora registrati casi sospetti di contagio da ebola. – Atlasweb