Nel caos che continua a regnare nella Libia del dopo-Gheddafi, c’è un’autorevole voce che sostiene le forze islamiste insediatesi nel “califfato” di Bengasi e che combattono a Tripoli nella cosidetta Operazione Alba. Si tratta del Gran Mufti di Libia Sheikh Sadik Al Ghariani, che molti accusano di schierarsi da una parte sola invece di favorire una riconciliazione in quella che ormai è divenuta una vera e propria guerra civile che dilania il Paese.
Più di una volta Ghariani, riporta il Libya Herald, si è espresso a favore degli islamisti, considerando come residui del vecchio regime le forze che li contrastano: quelle dell’operazione Dignità dell’ex generale Khalifa Haftar, le brigate di Zintan Qaqaa e Sawaq ed i loro alleati a Tripoli. Sono ladri e controrivoluzionari, sostiene, responsabili di tutti i mali del Paese.
All’opposto, secondo il Gran Mufti, vanno appoggiati i “rivoluzionari” di Tripoli – legati al decaduto Congresso Nazionale Generale (Cng), a maggioranza islamista – e quelli del Consiglio della Shura di Bengasi, coalizione che raccoglie varie forze tra cui Ansar al Sharia, gruppo legato ad Al Qaida, la brigata dei Martiri del 17 febbraio e Scudo della Libia.
Sono questi i due principali fronti che si oppongono dopo che, nel gennaio scorso, il Gnc rifiutò di sciogliersi, le elezioni politiche del 25 giugno segnarono la sconfitta degli islamisti e la formazione del nuovo Parlamento, insediatosi Tobruk invece che a Bengasi ormai scippata dal “califfato”. Molti parlamentari ed esponenti religiosi hanno chiesto che Ghariani sia rimosso e che sia istituita una nuova “Dar al-Ifta” che emetta ‘fatwa’ (pareri religiosi) in modo collegiale.
Da parte sua Ghariani ritiene illegittimo il nuovo Parlamento, che d’altra parte poco riesce a fare di fronte alle milizie armate, tanto da avere chiesto, il 13 agosto scorso, un intervento dell’Onu a difesa dei civili. E non lo rafforza certo il fatto che tre città della regione occidentali abbiano ora misconosciuto l’Assemblea, per sostenere l’Operazione Alba. Quest’ultima, iniziata il 13 luglio con i primi combattimenti per la conquista dell’aeroporto di Tripoli, prosegue tuttora nella zona e per il controllo della strada che porta verso lo scalo, ormai chiuso e gravemente danneggiato. Gli scontri continuano dunque nell’area della capitale, tanto che gli abitanti stanno fuggendo a decine di migliaia, cercando rifugio in altre città libiche e nella vicina Tunisia. E i combattimenti proseguono anche a Bengasi, dove ieri, in nuovi scontri tra le forze di Haftar e quelle guidate da Ansar al Sharia, si sono registrati morti e feriti. Fra questi ultimi un alto comandante dell’operazione Dignity, riporta ancora il Lybia Herald: Ashraf Al-Mayar, un predicatore salafita che proviene dalle file della brigata dei Martiri del 17 febbraio, e che ora si trova sul fronte opposto nella guerra per Bengasi. A dimostrazione di come le linee di demarcazione tra chi si combatte in Libia siano tutt’altro che facili da definire.
E mentre il governo sta operando per far revocare il blocco dei voli sulla Libia deciso ieri – precisa ancora Lybia Herald – da Tunisi e dal Cairo per ragioni di sicurezza, proprio al Cairo si prepara una conferenza dei Paesi vicini alla Libia, per aiutare il Paese a trovare una soluzione interna senza – come vuole la Lega araba – interventi internazionali. * Luciana Borsatti – ANSAmed.