Oltre settemila trecento vittime, la reazione forte della comunità internazionale per contenere il virus, ma i dubbi su quello che resterà poi sono altrettanto forti: Ebola ha colpito soprattutto in tre Paesi – Liberia, Guinea e Sierra leone -.
Sono stati realizzati centri specializzati, tutti diretti da personale sanitario straniero, tranne uno, alle porte di Freetown: questo è l’unico centro gestito da personale locale, guidato da un giovane medico che sognava di diventare chirurgo, prima che scoppiasse l’epidemia.
Questi sono gli standard cui bisognerà abituarsi, quando la comunità internazionale se ne sarà andata:
“Qui non abbiamo gli equipaggiamenti sofisticati che si pensa siano necessari per la lotta contro l’Ebola. Ma anche se non li abbiamo, improvvisiamo, proviamo a fare del nostro meglio”.
Il personale qui viene pagato con settimane, a volte mesi di ritardo: ma continuano a impegnarsi per contenere l’epidemia. “Siete con me?”, chiede il medico, ricevendo una risposta corale e convinta.
In visita per la prima volta nei Paesi più colpiti, due giorni fa, il Segretario Generale delle Nazioni Unite ha precisato che UNMEER, la Missione delle Nazioni Unite contro l’Ebola, è da ritenersi di breve termine: appena vinta la battaglia – ha detto – si scioglierà rapidamente. Il problema per chi resta è sapere cosa significhi esattamente, per la comunità internazionale, “aver vinto la battaglia”. – Euronews