La Tunisia ha l’ambizione di arrivare a soddisfare il 30 per cento della sua spesa energetica grazie alle rinnovabili e di ridurre della metà il costo dell’elettricità entro il 2030, ma come farlo rimane un problema di non facile risoluzione. Il modello di produzione e di consumazione in Tunisia, secondo la Banca Centrale tunisina, rimane infatti ancora prigioniero delle energie fossili ed è anche la causa principale dell’aumento del deficit corrente della bilancia energetica. Il gas naturale attualmente rappresenta oltre il 50% del mix energetico di cui fa uso il Paese per soddisfare i suoi bisogni energetici, sia per la facile accessibilità alla risorsa (via Algeria) che per la sua convenienza nel produrre elettricità, ma da tempo tutte le opzioni alternative, (acquisto di carbone, rinnovabili, shale gas) sono al vaglio. Aumentare la porzione di rinnovabili come l’eolico ed il solare presenta tuttavia ancora notevoli problemi di natura tecnica ed altri legati all’intermittenza delle fonti.
Di qui la sempre piu’ forte richiesta degli esperti del settore di usare lo shale gas che, secondo uno studio della Energy Information Administration americana, dovrebbe trovarsi nel bacino di Ghadames in quantità stimabili in circa 650 miliardi di metri cubi. Ma la sua estrazione tramite fracking è anche causa di polemiche e critiche da parte degli ambientalisti che si oppongono all’eventualità di apertura dei pozzi di eplorazione. Il ministro dell’Industria tunisino Kamel Ben Naceur a La Presse ha dichiarato che è necessario aprire un dibattito serio e responsabile sullo sfruttamento di risorse non convenzionali, come lo shale gas estratto tramite la tecnica del fracking, perché tutti i dati finora apportati come argomento contrario sono stati raccolti tramite ricerche su internet e che è sua intenzione raggruppare un gruppo di esperti al ministero per avviare un dibattito lontano da posizioni di parte. Una volta escluso il ricorso al nucleare e considerato il momento di criticità vissuto dalla situazione delle concessioni di esplorazione e sfruttamento dei pozzi petroliferi nel paese, il ministro ritiene un opzione percorribile quella dello sfruttamento dello shale gas, considerato che la tecnica del fracking viene usata dagli anni 40, anche se per altri fini specifici, e che il problema piuttosto nasce dalla confusione che viene fatta sulla natura degli additivi usati per l’operazione. Il ministro conclude che, a suo parere, il ribasso del prezzo petrolio non durerà molto nel tempo per cui la Tunisia dovrà necessariamente riflettere sulla strategia energetica da adottare in futuro, e parlando della situazione generale delle risorse del paese, auspica fortemente un ritorno alla produzione di fosfati nel sud del paese, troppo spesso condizionata nel post rivoluzione da scioperi, rivendicazioni sociali e salariali, che ne hanno dimezzato la produzione rispetto al 2010. Nel 2014 sit-in e scioperi nei luoghi di estrazione dei fosfati hanno causato una perdita del PIL pari allo 0.7%. Ancora ieri alcune compagnie di fosfati a Gafsa e Gabes sono state costrette a fermare la loro produzione per i motivi sopracitati. Il ministro ha affermato che era intenzione del governo riportare il livello di produzione di fosfati a 6 milioni di tonnellate nel 2015, ma la cifra va vista al ribasso proprio a causa di queste agitazioni. – Ansamed