Ancora morti – almeno undici -, ancora violenze e distruzioni nell’Egitto del dopo Morsi che non riesce ad avviare la transizione democratica in nome della quale il primo presidente dei Fratelli musulmani è stato deposto dai militari sull’onda di gigantesche proteste di piazza.
Il bilancio degli scontri violenti che sono proseguiti per tutta la nottata fra militanti pro Morsi e anti Morsi è di almeno undici vittime, otto delle quali a piazza el Nahda nei pressi dell’università del Cairo, presidiata dai sostenitori di Morsi dalla sua deposizione il 3 luglio.
Col conteggio delle vittime è cominciato lo scambio di accuse sulle responsabilità delle violenze e dell’uso esteso, come riferiscono varie fonti, di armi da fuoco. Il ministero dell’interno sostiene che le proteste della Fratellanza non sono state pacifiche. In una conferenza stampa Hisham Hassan, responsabile dell’ospedale da campo di piazza el Nahda ha affermato che poliziotti in borghese hanno sparato sui manifestanti, denunciando “l’atrocità dell’aggressione” e di avere prestato soccorso a feriti per armi bianche e da fuoco e per intossicazione da lacrimogeni. Parole di fuoco sono venute della Fratellanza: “Dopo un altro massacro odioso e sanguinoso di manifestanti pro Morsi innocenti e disarmati, la Confraternita auspica che i militari smettano il loro approccio fascista e consentano la vera trasformazione democratica di proseguire il suo corso”.
Nell’escalation di violenze che ha colpito anche altre città, non vi è traccia della riconciliazione nazionale invocata anche oggi dal vicepresidente per gli affari internazionali Mohamed el Baradei, che su twitter ha scritto: “La riconciliazione è l’unica scelta possibile, basata sull’accettazione dell’altro”. Gli ha risposto sempre su Twitter Pakinam el Sharkawi, responsabile degli affari politici dello staff presidenziale di Morsi. “Né la violenza né i teppisti riusciranno a mettere fine ai nostri sit in e alle nostra manifestazioni”. “L’unica soluzione è il ritorno della legittimità costituzionale e della democrazia”.
L’Egitto non diventerà la Siria, ha affermato il portavoce della presidenza Ahmed el Moslemani, ma Human Rights Watch (HRW) ha messo in guardia dai rischi di violenze contro la popolazione copta, circa il dieci per cento dei novanta milioni di egiziani.
HRW si riferiva all’attacco in un villaggio nei pressi di Luxor due giorni dopo la deposizione di Morsi, nel quale quattro copti sono stati uccisi e decine di case e negozi incendiati. L’Ong americana sollecita le forze di sicurezza a fare di più per garantire la protezione dei copti, il cui papa Tawadros II ha partecipato all’annuncio tv del ministro della Difesa Abdel Fattah el Sissi per la rimozione di Morsi e l’avvio della road map per nuove elezioni legislative e presidenziali.
Rimane infine alta la tensione anche nei Sinai, dove anche oggi è stato ucciso un poliziotto in un agguato ad El Arish.
Israele ha rafforzato le difese lungo il confine ritenendo “imminente” un’operazione dell’esercito egiziano contro “terroristi” nella regione. Intanto Hamas respinge le accuse. “Non abbiamo avuto alcun ruolo nella crisi politica in Egitto. La stampa egiziana deve cessare di lanciare accuse nei nostri confronti”, ha ribadito il leader di Hamas a Gaza, Ismail Haniyeh, dopo che la stampa egiziana aveva sostenuto che nella Striscia si rifugiano esponenti dei Fratelli Musulmani. Secondo media egiziani, infatti, un dirigente dei Fratelli Musulmani egiziani avrebbe trovato riparo a Gaza e sarebbe protetto da miliziani di Ezzedin al-Qassam, il braccio armato di Hamas. Inoltre, vi sarebbe un legame diretto fra la striscia di Gaza e i miliziani islamici che nelle ultime settimane hanno condotto nel Sinai una serie di attacchi armati. Haniyeh ha ribadito che Hamas non ha inviato propri miliziani nel Sinai e ha lamentato che palestinesi si trovano ora in difficoltà in Egitto per il tono astioso verso di loro assunto da mass media locali.
Negli ultimi tempi le forze egiziane hanno distrutto molti dei tunnel sotto la frontiera con Gaza attraverso i quali Hamas si garantisce il passaggio di armi, merci e persone. E un ulteriore stretta sui tunnel ha anche fatto seguito alla destituzione del presidente Mohammed Morsi dopo il 30 giugno. D’altra parte lo stesso Morsi aveva deluso le aspettative di Gaza sull’apertura della frontiera, nonostante i legami anche ideologici tra i Fratelli musulmani egiziani e Hamas. L’esercito egiziano ha comunque allentato la chiusura del confine fra il Sinai e Gaza. Lo ha constatato un giornalista dell’ANSA, secondo cui da lunedi’ sono tornati in funzione alcuni tunnel dai quali vengono introdotte nella Striscia quantità, peraltro modeste, di combustibile e materiale per la costruzione. – ANSAmed