23/10/13 – Libia – A due anni dalla ‘liberazione’, in cerca di stabilità

di AFRICA

 

A due anni dalla caduta di Muammar Ghaddafi e dall’annunciata “liberazione” del paese, la Libia è impantanata in un processo di transizione che fa fatica ad andare avanti e in una crisi politica, economica e della sicurezza senza precedenti. Il governo si è accontentato di commemorare l’anniversario con un comunicato alla popolazione libica, felicitandosi per la ricorrenza di “un giorno decisivo, che ha messo fine alla tirannia e al dispotismo e ha aperto una nuova era di libertà, giustizia e uguaglianza”.

Ieri una folla di ex-combattenti disabili hanno fatto irruzione nell’aula vuota del Parlamento di Tripoli, occupandolo e  danneggiando sedie e suppellettili: un nuovo assalto alle istituzioni che si verifica a due settimane dal sequestro lampo del primo ministro Ali Zaidan, prelevato dalla sua camera d’albergo nella capitale da un gruppo armato e rilasciato qualche ora dopo.

Un episodio che ha confermato la totale assenza di controllo da parte del governo centrale e delle istituzioni sul territorio nazionale e la protervia della miriade di milizie armate che – dopo essersi rifiutate di consegnare le armi – sono state maldestramente ‘integrate’ nelle forze dell’ordine del nuovo stato. Questi ex ribelli hanno dimostrato in più di un occasione di rispondere a logiche tribali, ideologiche o regionali quando non ai loro esclusivi interessi ritardando e ostacolando la pace civile e la costruzione di nuove istituzioni.

Sul piano politico, la road map delle transizione con precise scadenze elettorali è – a detta degli osservatori – seriamente compromessa, mentre la produzione di petrolio – principale voce dell’economia – è ai minimi storici a causa degli scioperi e dell’assedio dei miliziani ai giacimenti della Cirenaica, la regione orientale che ospita la maggior parte delle riserve del paese. E per scoraggiare il commercio illegale di petrolio oggi, la guardia costiera e l’aviazione militare hanno ricevuto l’ordine di attaccare qualsiasi petroliera o nave che si trovi senza autorizzazione nelle acque territoriali.

È in questo contesto che all’inizio del mese di ottobre le forze statunitensi hanno catturato nel paese – ma senza previa autorizzazione del governo – Abu Anas al Libi, sospettato da Washington di essere dietro gli attentati del 1998 alle ambasciate americane in Kenya e in Tanzania costate la vita a 224 persone. Il primo ministro Zeidan – investito dalle polemiche per la violazione della sovranità nazionale da parte delle truppe speciali americane e la consegna di un cittadino libico a un paese straniero – non ha confermato né smentito di essere a conoscenza del blitz.

Oggi infine, l’organizzazione Amnesty International ha diffuso un rapporto in cui denuncia la presenza di oltre 65.000 rifugiati interni costretti a fuggire dagli attacchi o portati via dalle milizie per la loro presunta affiliazione con Gheddafi. Oltre ai tawargha – libici neri – l’elenco comprende membri della tribù mashashya delle montagne di Nafusa, abitanti di Sirte e Bani Walid e tuareg di Ghadames, soggetti a rappresaglie, discriminazioni e torture. In particolare tra gli abitanti di Tawargha ci sarebbero 1300 desaparecidos. “Due anni dopo il conflitto, i tawargha e le altre comunità sfollate attendono giustizia e una riparazione concreta per gli abusi subiti – ha dichiarato Hassiba Hajj Saharawi, direttore di Amnesty per il Medio Oriente e il Nord Africa – Molti continuano a subire discriminazione e a vivere in campi in condizioni inadeguate e senza alcuna soluzione in vista”. – Misna

 

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