Sembra avvitarsi sempre più la crisi interetnica in Sud Sudan, dove una settimana di scontri tra ribelli e forze governative ha causato la morte di molte centinaia di persone e decine di migliaia di profughi.
L’ex vice presidente Riek Machar, che guida la ribellione, si è detto pronto ad accettare il dialogo con il presidente Salva Kiir, ma solo quando i suoi uomini prigionieri delle forze governative verranno rilasciati.
Allo stesso tempo, il presidente Salva Kiir ha fatto sapere di essere pronto a scatenare una grande offensiva dell’esercito per riconquistare le città di Bor e di Bentiu, centro della strategica regione petrolifera del Paese, in mano ai ribelli.
E testimoniando il livello dell’allarme della comunità internazionale per il fragile Paese nato solo due anni e mezzo fa, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha informato il Congresso che, anche dalle vacanze alle Hawaii, continua “a monitorare la situazione e – ha affermato in una lettera – potrei prendere ulteriori azioni a sostegno della tutela” degli americani nel Paese, 400 dei quali sono già stati evacuati negli ultimi giorni proprio da Bor, dove il 21 dicembre sono stati dispiegati altri 46 militari americani.
Anche l’Onu continua a lanciare appelli alla calma: la situazione è di “crescente urgenza”, ha detto il segretario generale Ban Ki-moon, annunciando che chiederà al Consiglio di Sicurezza un rafforzamento delle capacità di protezione dei civili della missione in Sud Sudan (Unmiss) con truppe addizionali, forze di polizia e strutture logistiche. – Swissinfo